Il grafico shock sul PIL pro capite, mai così male dall’unità d’Italia

In questo articolo analizzeremo una serie storica del PIL pro capite dell’Italia, in termini reali, lunga oltre 160 anni. Si tratta di un indicatore macroeconomico molto importante, che esprime la ricchezza prodotta da una nazione, in beni e servizi finali, per ogni cittadino residente in quel Paese.

I dati sono espressi in migliaia di euro a prezzi costanti del 2015, significa che sono depurati dall’effetto della variazione dei prezzi (cioè dall’inflazione). Dunque questi dati sono perfettamente paragonabili in tutti gli anni della serie storica che parte dal 1861, anno dell’unità d’Italia, e che arriva al 2022 (ultimo dato disponibile).

Questo grafico racconta la storia economica del nostro Paese con una sola linea che mostra, in estrema sintesi, quanti soldi si porta a casa ogni residente. Il grafico inoltre è stato arricchito dalla cronologia dei principali eventi storici, nazionali e internazionali, bellici ed economici, che ci hanno direttamente o indirettamente interessato.

La fonte per i dati fino al 1994 è l’osservatorio conti pubblici italiani (OCPI) mentre dal 1995 ad oggi sono stati presi direttamente dalla piattaforma ISTAT dedicata solo ai dati. Analizziamo dunque l’indicatore scomponendo il grafico in quattro periodi storici, cominciamo!

LA SECONDA METÀ DELL’OTTOCENTO

Due importanti recessioni hanno interessato l’Italia durante la seconda metà dell’ottocento, la prima nel 1867 come conseguenza della terza guerra di indipendenza, che tutti hanno studiato sui libri di storia, e la seconda nel 1889, di entità ben più lieve, fu di natura finanziaria per quanto le precise cause sono ancora oggetto di studio.

È interessante notare come le conseguenze economiche della terza guerra di indipendenza si siano scaricate nell’anno successivo ai fatti. Qui il PIL pro capite scese del -8,7%, mentre i valori ante-guerra del 1865 (2.497€) vennero pienamente recuperati nel 1881 (2.560€).

Per quanto riguarda il 1889, la diminuzione fu del -3,0% con una leggera contrazione cominciata già nell’anno precedente, e che venne recuperata nel 1894 (2.738€ lo stesso identico valore del 1887). Spulciando l’enciclopedia Treccani alla voce “Banca Nazionale del Regno d’Italia” si legge che fra il 1888 e il 1893 il sistema bancario italiano fu colpito da una grave crisi.

Prendendo un’altra pubblicazione “Le componenti della moneta in Italia dal 1861“, stavolta della Banca d’Italia, si legge (a pagina 7) che le origini vanno ricercate al ritorno dell’aggancio all’oro della Lira nel 1883, la cui convertibilità venne sospesa in occasione della prima citata terza guerra d’indipendenza. Tale riaggancio provocò un’euforia che sfociò in una bolla immobiliare – che interessò principalmente Roma – e con lo scoppio andò giù il sistema bancario.

Notare che l’episodio più famoso di questa crisi avvenne fra il 1892-94 con lo scandalo della Banca Romana, uno dei 6 istituti di emissione del Regno d’Italia, dove però non corrispose ad alcuna contrazione del PIL (giusto la stagnazione del ’92). Si risolse con la nascita della Banca d’Italia come unica banca centrale del Regno nel 1893.

LE DUE GUERRE MONDIALI E LA GRANDE DEPRESSIONE

La prima metà del XX secolo si è contraddistinta per le tragedie delle due guerre mondiali, dove nel mezzo ci fu pure una crisi economica e finanziaria di portata mai fino a quel momento: la grande depressione. Come se la cavò l’Italia?

Nel 1914 con l’inizio della prima guerra mondiale il reddito pro-capite scese del -5,5% e non fu l’unico anno di difficoltà. Nonostante la vittoria sul campo, perseguirono le difficoltà nel primo dopoguerra con i valori pre-bellici del 1913 (3.604€) recuperati solo nel 1923 (3.776€), quando nel frattempo si era instaurato il regime fascista.

Eccetto che per il 1927, anno di recessione per “quota 90“, il PIL pro capite crebbe fino al 1929 (4.345€), quando durante il 29 ottobre di quell’anno – passato alla storia come “black tuesday” – crollò la borsa di Wall Street affossando presto l’economia reale americana, con il rapido contagio anche al resto del mondo (almeno quello capitalista).

Nel 1930 il PIL pro capite diminuì del -5,3%, presto o tardi i paesi in crisi adottarono la ricetta economica keynesiana per uscirne, all’epoca una novità. I valori pre-crisi del 1929 vennero recuperati dall’Italia nel 1938 (4.427€), a cui seguirà un altro anno di crescita, tutto in funzione della preparazione in ottica bellica.

Arriviamo dunque alla seconda guerra mondiale, dove gli italiani videro nel giro di pochi anni la distruzione della propria ricchezza: nel 1939 il pil pro capite ammontava a 4.663 euro, nel 1945 al culmine della guerra era pari a 2.516 euro (-46%), mancava quindi poco alla soglia psicologica del dimezzamento. Si fece dunque un balzo indietro ai livelli del 1880-81 (rispettivamente di 2.485 e 2.560 euro), cioè di oltre 60 anni!

Andò dunque molto peggio rispetto alla prima guerra mondiale, questo perché quest’ultima si combatté essenzialmente ai nostri confini, mentre durante il secondo conflitto fu l’intero Paese a subire i danni dell’invasione nazista. Ma nonostante il durissimo colpo, nel 1950 (4.959€) vennero recuperati i valori pre-bellici del ’39.

DALLA PRIMA REPUBBLICA ALLA NASCITA DI UE ED EURO

Con la fine della seconda guerra mondiale, l’Italia divenne Repubblica e nel 1948 entrò in vigore la Costituzione, mentre il mondo e la stessa Europa erano divise in due blocchi contrapposti, quelli delle due superpotenze vincitrici (USA e URSS).

C’era un Paese raso al suolo da ricostruire e negli anni 50-60, in un contesto di elevata crescita economica generalizzato, il cosiddetto boom economico, l’Italia si distinse in positivo per la sua performance sopra la media. Dal 1950 al 1973, inclusi, ogni anno si cresceva in media del 5,5% un risultato che tutt’oggi resta imbattuto.

Ma l’euforia si esaurisce proprio nel 1973 (16.595€) con il primo shock petrolifero, ovvero un forte aumento dei prezzi del petrolio e dell’energia, con conseguente aumento dell’inflazione. Il 1975 segnò la prima recessione dal secondo dopoguerra (-3,1% rispetto al ’74), ma venne brillantemente recuperata l’anno successivo.

Nel 1979 (19.540€) arriverà il secondo shock petrolifero, la conseguenza furono tre anni di stagnazione del PIL pro capite dal 1981 al 1983. Nella seconda metà degli anni 80 l’inflazione tornò sotto la doppia cifra, complice il rallentamento dei prezzi del petrolio, e dal 1984 al 1989 la crescita media fu di un robusto 3,1% annuo.

Arriviamo dunque ai primi anni 90 dove in poco tempo accadde: la fine del mondo a blocchi, la caduta dell’URSS, la nascita dell’Unione europea. Nel 1992 (25.409€), la firma del trattato di Maastricht comporta un cambio di modello economico per l’Italia da quello keynesiano della Costituzione a quello mercantilista predatorio della Germania federale, che nel frattempo si era riunificata.

Ma soprattutto Maastricht ha segnato il percorso di convergenza per arrivare in 10 anni alla piena adozione della moneta unica, stabilendone i suoi criteri e suoi vincoli. Tuttavia, ricordiamo che la prima fase dell’unione monetaria europea era già cominciata nel 1990, con la piena liberalizzazione dei movimenti dei capitali.

Nel settembre 1992 il sistema monetario europeo, operativo dal 1979, andò in crisi con l’uscita della lira italiana e della sterlina inglese (il cosiddetto “mercoledì nero“). La conseguenza fu una recessione generalizzata in quasi tutto il continente, seppur di lieve entità: l’Italia fece il -0,9% nel ’93 e fu recuperato l’anno dopo. Maggiori dettagli sul quel periodo sono descritti qui.

IL NUOVO MILLENNIO E I NOSTRI GIORNI

Nonostante la zavorra dei parametri di convergenza dell’euro, e i conseguenti “sacrifici” nel nome di Maastricht, l’Italia continuò a crescere discretamente fino al 2001 (29.707€). Con la piena ed effettiva entrata in vigore dell’euro, e il conseguente pensionamento della Lira, l’Italia si becca 4 anni di stagnazione e con il solo biennio 2006-07 di crescita.

Nel 2008 i rincari del petrolio prima (che toccò i 140$ al barile) e la crisi importata dagli USA, quella conseguente il fallimento della banca d’affari Lehman Brothers, ci portarono già in recessione, ma il grosso dell’impatto si fece sentire nel 2009 (-5,8%) in buona compagnia della maggior parte delle economie avanzate.

Seguirà un rimbalzino nel 2010 e un altro ancora nel 2011 (28.735€), quando si fa sempre più presente nei media la parola “spread“. Stava per arrivare una nuova crisi finanziaria, questa volta tutta europea, la cui soluzione – ci dicevano – era quella di fare ancora sacrifici, che hanno comportato un’ulteriore recessione nel biennio 2012-13.

Dal 2014 (27.231€) ci fu una lenta ripresa durata fino al 2019 (28.944€) che riportò il PIL pro capite sopra i valori del 2011 ma ancora molto distanti da quelli del 2007 (30.551€). Nel 2020 si manifesta la pandemia, il crollo record di quell’anno (-8,5%) viene recuperato nel 2022 (29.996€) e con gli interessi (+3,6% rispetto al 2019). Il merito? Fare l’esatto opposto di dieci anni prima, a cominciare dalla sospensione dei “sacri” vincoli di bilancio.

Ma le prospettive per il 2023 non sono rosee visto che, sempre nel 2022, i paesi UE-Nato decidono per un embargo alla Russia, nostro (ex) principale partner energetico, con conseguente inflazione da offerta (come negli anni 70) e innalzo dei tassi d’interesse della banca centrale. Il “conto” verrà presentato quest’anno e soprattutto nel 2024…

UNA CRISI SENZA FINE: IL BILANCIO

Anche se nel 2022 il PIL pro capite ha recuperato e superato il dato del 2019, esso continua a rimanere ben al di sotto del massimo storico del 2007 (-1,8%) e di poco superiore a quello del 2001 (+1,0%), ultimo anno di “liretta”. Parliamo di oltre due decenni perduti dell’economia italiana, in tempo di pace però.

Per recuperare i danni della prima guerra mondiale son bastati 10 anni, per quelli della grande depressione ne sono bastati 9, per ricostruire il paese dalla seconda guerra mondiale ne son bastati 11. Le due recessioni del 1975 e del 1993 hanno fatto giusto il solletico al bel Paese.

E che cosa è cambiato invece dal 2000 ad oggi? Perché la curva che dal secondo dopoguerra cresce ininterrottamente, di colpo, si flette si piega e poi crolla all’indomani dell’introduzione dell’euro? È lecito porre un nesso causa-effetto quando i dati ci parlano di un disastro senza precedenti, con una chiara sequenza temporale fra i due eventi?

Rimane un solo record negativo da battere, quello della terza guerra di indipendenza, mai ormai manca poco. Infatti se il dato del 2023, cosa assai probabile, continuerà ad essere inferiore di quello del 2007 sarà ufficialmente la crisi più lunga della storia d’Italia.

Mentre per il giovane Regno d’Italia 16 lunghi anni comunque bastarono per riportare il PIL pro capite ai livelli pre-bellici del 1865, oggi invece no pur essendo “anni luce” più progrediti di allora. Il verdetto finale a marzo 2024!