SMEMORATI: l’uscita dell’Italia dallo SME del 1992 e la svalutazione della Lira

L’euro ha un antenato di nome ECU (European Currency Unit), cioè la moneta scritturale del sistema monetario europeo (SME), sistema che entra in vigore nel 1979. Lo SME comprendeva anche gli accordi europei di cambio (AEC).

Inizialmente all’Italia era stato concesso di usare la banda larga di oscillazione. All’inizio degli anni ’90 Ciampi – il governatore della Banca d’Italia – decise di portare la lira nella “banda stretta”, vediamo il funzionamento degli accordi di cambio descritto in un articolo dell’epoca.

La Stampa – 6 gennaio 1990

FONTE ORIGINALE: La Stampa 6 gennaio 1990 – sopra la prima pagina, sotto pagina 13

OGGI SI ANNUNCIA L’INGRESSO NELLA «BANDA STRETTA».

LIRA, CAMBI PIÙ RIGIDI, VARRÀ MENO ALL’INTERNO DELLO SME

ROMA. Sarà annunciato oggi l’ingresso della lira nella «banda stretta» del Sistema monetario europeo: un impegno duro, difficile, con cui il governo si vincolerà a un più stretto controllo dell’inflazione. Da lunedì in poi, le oscillazioni quotidiane dei cambi tra la moneta italiana e le altre valute europee non potranno superare il 2,25% in più o in meno rispetto a una nuova «parità centrale» che sarà di 748,56 lire per marco, rispetto alle 720,699 attuali. Si tratterà di una mossa unilaterale del governo italiano. (…)

Da tempo gli altri Paesi europei chiedevano all’Italia di rinunciare al privilegio di una oscillazione più larga per la lira (6% in più o in meno), ottenuto dieci anni fa, quando fu creato il Sistema monetario europeo. Senza questo margine di sicurezza l’Italia dovrà stare molto più attenta:

1) a evitare che vi sia troppa differenza tra la sua inflazione e quella degli altri Paesi;

2) a manovrare giorno per giorno la politica monetaria per evitare scossoni al cambio.

«Occorreranno grandi sforzi per mantenere la lira nella banda stretta», avverte senza peli sulla lingua il governatore della Banca centrale tedesca, Karl Otto Poehl (…)

In un’unione monetaria o assimilabile a tale, oggi con l’euro ieri con l’ECU, venuta meno la possibilità di intervenire sul tasso di cambio – nello SME era invece limitato alla banda (foto sotto) – la differenza di competitività fra un paese e l’altro sta proprio nel livello interno dei prezzi. Moneta unica dunque ma diversi tassi d’inflazione, i paesi con l’inflazione più bassa erano quelli più “competitivi”, Germania in primis.

FONTE: Banca d’Italia – appendice alla relazione annuale sul 1990 (pag 24)

Nelle appendici dei rapporti annuali della Banca d’Italia c’era una sezione dedicata allo SME: la lira, nei confronti di 1 marco tedesco, doveva oscillare fra quota 731,570 e 765,400.

Negli anni ’80 e soprattutto nei primi anni ’90, l’Italia aveva un saldo commerciale in deficit cioè importava molto di più di quello che esportava, proprio a causa della penalizzazione del sistema monetario europeo. Per chi volesse approfondire a livello tecnico qui è spiegato tutto.

Tutte le volte che l’Italia si è legata in un cambio fisso (o assimilabile a fisso) è stato un massacro sia per l’economia italiana sia per i cittadini. Il 1992 porta però una lezione preziosa, perché dall’analisi di quello che dicevano all’epoca “giornaloni”, professoroni e politicanti dell’epoca, emerge una tecnica ben precisa: fare terrorismo mediatico con dei mantra che sono ripetuti anche ai nostri giorni. Balle ci dicevano all’epoca sull’uscita dallo SME, balle ci raccontano oggi sull’uscita dall’Euro.

Fatta questa piccola premessa, ecco in ordine cronologico le principali notizie dal 1992 al 1996, cioè dall’uscita dallo SME fino al suo rientro. Buona lettura

Repubblica – 3 giugno 1992

FONTE ORIGINALE: La Repubblica 3 giugno 1992

BISOGNA COLPIRE SALARI E PENSIONI

ROMA – Siamo “in emergenza”, torna ad avvertire Guido Carli. Bisogna colpire pensioni e salari, ma occorre anche puntare alla “crescita zero” del numero dei dipendenti pubblici. E privatizzare. E sfruttare la “disponibilità a pagare” di una parte degli utenti nei delicatissimi settori della sanità e dell’istruzione. Quindi va riformato l’ordinamento finanziario degli enti locali. E, ancora, vanno revisionate le procedure di bilancio… Insomma, rigore. Che poi vuol dire stringere (subito) la cinghia. Altrimenti l’Italia può abbandonare il sogno europeo perché già oggi la dinamica della spesa pubblica “non è tale da consentire” la convergenza richiesta dagli accordi di Maastricht.

La causa del dissesto – scrive – è imputabile “all’estensione assunta dal principio della gratuità delle prestazioni pubbliche rese al cittadino”. Ma ombre pesanti gravano anche sul parlamento, “dove si fanno, si emendano, si rifanno le leggi”. Occorre quindi costituire un governo “composto da ministri che, nella loro collegialità, condividano la convinzione che siamo in emergenza, che urgono provvedimenti d’emergenza e ripudino la filosofia di populismo egualitario nella quale, durante due decenni, si sono riconosciute le forze presenti in parlamento”. Le pensioni sono in cima alla lista delle urgenze

Noi non avevamo assolutamente i requisiti per partecipare all’unione monetaria, dunque bisognava farsene una ragione e abbandonare il fogno europeo. Ricordiamo che Guido Carli è colui che negoziò e firmò il trattato di Maastricht, in qualità di ministro del Tesoro, assieme al ministro degli affari esteri Gianni De Michelis.

Un primo assaggio di “moneta unica” l’abbiamo sperimentato proprio nel 1992. Oggi come allora ci proponevano delle false soluzioni di microeconomia (i sacrifici) per scellerate decisioni di macroeconomia (la difesa del cambio della Lira). Andiamo avanti

Repubblica – 17 giugno 1992

FONTE ORIGINALE: La Repubblica 17 giugno 1992

E SPAVENTA È CONTRARIO ALLA SVALUTAZIONE ‘SAREBBE FOLLE E DANNOSA’

In piena sintonia con il collega Mario Monti, dunque, Spaventa torna a formulare – come in occasione del “manifesto” sugli accordi di Maastricht pubblicato da Repubblica e dal Corriere della Sera – un’analisi comune dei mali dell’ Italia, e una strategia unitaria per il risanamento. Parlare di svalutazione della lira oggi, ha sottolineato l’economista, “è irresponsabile, folle e dannoso, ed inoltre l’operazione non servirebbe a niente”. Bene fa la Banca d’Italia pertanto a resistere, appoggiandosi alle condizioni del trattato di Maastricht.

Non servirebbe a niente, segniamocela! Dovete sapere che Luigi Spaventa nel 1978 era molto critico sullo SME perché (parole sue pronunciate in parlamento)

Il cambio – è stato correttamente osservato – è la più endogena delle variabili: non può essere trasformata o in obiettivo fine a sé stesso o in strumento da manovrare per il conseguimento di altre finalità. Gli svalutazionisti di altri tempi (neppure troppo lontani, signor Presidente), sono oggi rivalutazionisti, illudendosi, in base al più recente dei loro modelli, che il problema della nostra inflazione possa essere affrontato con successo imponendo alla lira l’onere di una rivalutazione. L’esperienza di altri paesi e la riflessione ci inducono a non accogliere questa tesi. Per quanto riguarda l’esperienza, vorrei rammentare che un tentativo del genere fu compiuto dalla Svezia quando decise di aderire al « serpente » monetario, nel tentativo di rivestire la virtù scandinava della piena occupazione con il rispettabile abito borghese dell’agganciamento al marco. Come è noto, la Svezia dovette lasciare il «serpente» avendo lacerato l’abito e perso la virtù.

Poi evidentemente ha cambiato idea, in tempi più recenti (è scomparso nel 2013) diventerà anche contrario anche all’uscita dall’euro. Chiusa parentesi proseguiamo.

Repubblica – 26 giugno 1992

FONTE ORIGINALE: La Repubblica 26 giugno 1992

“MISURE DRASTICHE O LA SVALUTAZIONE”

PALERMO – L’industria italiana rischia di morire per soffocamento. Gli alti tassi di interesse e l’eccesiva crescita del costo del lavoro stanno provocando una drammatica caduta della competitività delle nostre imprese. Se il governo non riprenderà velocemente la guida dell’economia una svalutazione della lira sarà inevitabile per evitare la “morte” del sistema industriale italiano.

Questi, pur di difendere un’insensata politica di cambio (quasi) fisso, preferirebbero far morire il sistema industriale italiano. Andiamo avanti

Repubblica – 9 settembre 1992

FONTE ORIGINALE: La Repubblica 9 settembre 1992

“AGNELLI E ABETE: DUE SETTIMANE DI TEMPO PER EVITARE IL DISASTRO (…)”

“Due settimane per evitare il disastro”, ricorda moltissimo il “FATE PRESTO”, cit Alessandro Greco. Leggiamo i loro deliri.

ROMA – Due settimane di tempo, non un giorno di più. Poi, in assenza di un intervento urgente di tagli alla spesa e di privatizzazioni, la crisi si avviterà. Gli alti tassi d’interesse strozzeranno l’economia costringendo molti industriali a chiudere bottega. E al danno seguirà la beffa: già, perché la micidiale stretta monetaria a difesa della lira non basterà ad evitare un deprezzamento della nostra moneta. (…)

Avverte Gianni Agnelli: “Se non si utilizzerà il periodo di non svalutazione della lira (che speriamo sia lungo) per fare qualcosa, sarà un disastro“. A riempire di contenuti questo “qualcosa” ci pensa Luigi Abete. “Serve un decreto urgente di governabilità – dice il presidente della Confindustria – un provvedimento da approvare entro due settimane che crei subito le condizioni di un forte ribasso dei tassi d’ interesse. Come? Tagliando e contenendo la spesa pubblica senza ricorrere a nuove entrate, anche a costo di gelare i consumi familiari; avviando la razionalizzazione di pensioni e sanità; privatizzando subito due o tre aziende pubbliche (…)

L’economista Mario Monti lancia un’idea che lì per lì lascia di stucco l’auditorio: “Abbiamo riserve auree importanti: impegniamone una parte, diamole in garanzia, così come fecero le autorità monetarie nel ’76 con la Bundesbank. Un segnale certamente meno pesante di una svalutazione subìta dalla Banca d’Italia” (…)

Innocenzo Cipolletta, direttore generale di Confindustria, lo descrive come una realtà ormai molto vicina: “La deindustrializzazione del nostro paese è già in corso. Di cosa si tratta? Semplice: mentre accelerano le importazioni di merci a basso costo, non ci si sposta su produzioni a più alto valore tecnologico per esportarle. E così si diventa sempre più dipendenti dall’estero. Per fermare il processo servirebbero due cose: tassi di interesse meno elevati e costi di produzione in flessione. Sbaglia chi crede di risolvere il problema con la svalutazione, che riduce la credibilità delle autorità e produce un rialzo dei tassi. Ma sbaglia anche chi pensa che la via della difesa del cambio affidata solo agli alti tassi d’interesse scongiurerà il deprezzamento della nostra valuta. Prima o poi, la recessione e il deficit pubblico saranno così pesanti da costringerci a svalutare”.

Resta allora una sola strada, per gli industriali: un intervento massiccio e doloroso sulle spese, anche a costo di bloccare per un anno o anche più il potere d’acquisto delle famiglie. Certo, l’effetto sarà quello di ritardare la ripresa, ma non di pregiudicarla in futuro, come succederebbe se passasse la linea del non intervento o dei rattoppi graduali.

Veramente incommentabile, Monti era prevedibile ma i sindacati da quanti decenni non fanno gli interessi dei lavoratori? Per quando riguarda la Bundesbank ovviamente non hanno mai visto neanche un grammo dell’oro italiano, ma questa è un’altra storia.

Quanto agli italiani avevano capito che la crisi di quel periodo era causata dalle folli regole europee?

Repubblica – 9 settembre 1992

FONTE ORIGINALE La Repubblica 9 settembre 1992

Gli italiani sono i più europeisti del continente: secondo un sondaggio effettuato nei grandi paesi della Comunità, il “sì” alla ratifica del Trattato di Maastricht raggiungerebbe nel nostro paese il 76 per cento in caso di referendum.

No, non ne avevano il minimo sospetto. Domenica 13 settembre Amato annuncia in TV l’imminente svalutazione, il 16 settembre (che passò alla storia come il mercoledì nero) il Regno Unito uscì dallo SME e il giorno dopo toccò a noi. Ecco i commenti a caldo…

Repubblica – 18 settembre 1992

FONTE ORIGINALE: La Repubblica 18 settembre 1992

SULL’EUROPA SCENDE LA NOTTE DELLE MONETE

L’EUROPA delle monete è in crisi. Dopo settimane di turbolenze, giorni e giorni di battaglie a colpi di miliardi di marchi e di dollari ai “fixing” della maggiori piazze finanziarie del Vecchio Continente, il Sistema monetario europeo ha piegato le gambe sotto i colpi della speculazione. Lo spettro dell’Europa a due velocità, di un’Europa di serie A e l’altra di serie B, agitato per anni, si è materializzato in tutta la sua drammaticità. Sul terreno di battaglia restano i morti e i feriti: le politiche di bilancio dei paesi deboli, come l’Italia, la tenuta degli accordi tra le monete, la volontà di potenza della Bundesbank.

BENIAMINO ANDREATTA – Quello di un sistema monetario europeo che potesse garantire per lungo tempo una pressione verso comportamenti convergenti mi sembra un giocattolo che si è rotto anche per colpa del governo italiano. Rimane dunque l’area del marco. (…) È un gran peccato che il giocattolo si sia rotto quando sindacati e imprese cominciavano a prenderlo sul serio e due terzi degli italiani si dichiaravano a favore di un cambio stabile. Solo la politica tentava di continuare nei suoi giochi proibiti. Ciò che rimane è l’area del marco, i paesi periferici possono entrare o galleggiare ai suoi margini. La stabilizzazione ora dovrà essere opera di virtù interne, non del blasone di appartenere ad un club. (…) Chi pensa di rinegoziare Maastricht in termini più elastici si fa delle illusioni. L’unica via aperta per l’unione monetaria europea è ormai la via tedesca.

MARIO MONTIInsomma è giustissimo discutere la politica macroeconomica tedesca, però bisogna essere consapevoli che non può esserci qualcosa di simile all’unità economica europea se non c’è un’accettazione della costituzione economica del paese dominante

EUGENIO SCALFARISotto l’ombra della crisi monetaria emerge che questo paese, che ha vissuto al di sopra delle proprie risorse e ha sperperato a destra e a manca, è diventato più povero.

Ecccertoh è colpa degli italiani che hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità! Monti e Andreatta chiedevano esplicitamente la sottomissione al modello Germania, mentre Scalfari ci ricorda che gli italiani hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilità (forse Monti ha rubato questo slogan proprio dal fondatore di Repubblica).

Quelle di Scalfari sono accuse senza fondamento. Basta semplicemente leggere il rapporto della Banca d’Italia sul 1992 e si scopre che:

Pagina 133 del rapporto sul 1992

«La spesa per interessi è passata da 147.400 miliardi nel 1991 a 173.400 nel 1992, rispettivamente pari al 10,3 e all’ 11,5 per cento del PIL.»

Pagina 325 del rapporto sul 1992

«Tra l’inizio di giugno e la metà di settembre l’importo cumulato degli interventi a sostegno della lira si ragguagliava a 48 miliardi di dollari»

Questi due estratti si trovano a rispettivamente a pag 133 e a pag 325. E sappiamo benissimo che il responsabile è Ciampi. Ricordiamo che 48 miliardi di dollari corrispondevano, in quel periodo, a circa 51.000 miliardi di lire (sotto il valore di un dollaro da giugno a settembre 1992).

FONTE: Tassi di Cambio (Banca d’Italia)

Fate due conti per vedere come il governatore aveva “sperperato a destra e manca”, nel caos in cui lui aveva messo il nostro paese.

Per quanto riguarda gli anni precedenti, vediamo quale voce ha fatto schizzare in alto le spese dall’1983 al 1992 (compresi)

Pagina 131 del rapporto sul 1992

La spesa complessiva va dal 50,5% al 55,9% (cioè del 5,4%) ma la solo spesa per interessi cresce dal 7,6% all’11,5% (cioè del 3,9%). Dunque la maggior parte della crescita della spesa è amputabile agli interessi sul debito pubblico, con buona pace delle bugie raccontate da Guido Carli prima.

Anche la pressione fiscale aumenta dal 36 al 41,8% risultato? Un trend della diminuzione dell’indebitamento primario (dal 1985) fino ad andare in avanzo primario proprio nel 1992.

Repubblica – 24 settembre 1992

FONTE ORIGINALE: La Repubblica 24 settembre 1992

QUELL’ERRORE DI CIAMPI NELLA GUERRA DELLA LIRA

Di fianco alla rappresentante in Italia della Bundesbank, Adelheid Sailer Schuster, con la quale si confronta sull’emergenza monetaria europea, Monti porta a fondo la sua analisi sulla svalutazione della lira. La definisce il “punto più basso toccato dal governo Amato” e osserva che “poteva essere evitata”.

Evidentemente a Monti stava benissimo il prelievo forzoso sui conti correnti…

La Stampa – 25 ottobre 1992

FONTE ORIGINALE: La Stampa 25 ottobre 1992

«SEI MESI PER SALVARE L’ITALIA». CIAMPI: SERVIRANNO ALTRI SACRIFICI

Da Cernobbio il governatore Ciampi rincara la dose e per la prima volta rende esplicita l’ipotesi che già in primavera debba essere decisa una manovra aggiuntiva, con nuovi sacrifici. Quanto alla lira c’è poco da aspettarsi che rientri nello SME prima di Natale perché «le condizioni del ritono sono lontane». Abbiamo sei mesi per non affondare.

Da “due settimane di tempo” a “sei mesi per non affondare”. Finiti i piagnistei, dal 1993 i titoli e gli articoli dei giornali sono molto cambiati

Repubblica – 14 gennaio 1993

FONTE ORIGINALE: La Repubblica 14 gennaio 1993

“CON IL SUPERMARCO I ‘PICCOLI’ SORRIDONO”

BRESCIA – L’ordine è partito dai vertici del gruppo Volkswagen-Audi. Da qualche settimana il colosso tedesco dell’ auto ha puntato sul mercato italiano per rifornirsi di componenti. Quei 20 e più punti persi dalla lira nei confronti del marco, infatti, sono un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. Meglio comprare nel Bel Paese, se si vogliono contenere i costi e non far schizzare alle stelle i listini delle Golf e delle Polo. Il supermarco, insomma, finisce per regalare una boccata d’ossigeno alla piccola industria meccanica, che qui a Brescia ha una delle sue roccheforti. È un regalo non solo per gli esportatori, ma anche per i subfornitori fino a ieri messi fuori gioco dagli stranieri a causa delle ragioni di cambio. (…) Le prospettive dell’export, per quanto difficili, stanno migliorando. E non solo nei confronti della Germania. Lo spiega Pietro Baiguera che con la sua Galba rifornisce di componenti anche il colosso tedesco Hurth-Marine. Afferma: “Adesso con il dollaro a 1.500 lire ci aspettiamo ordini dall’area del Nordamerica”. Una sensazione che è già realtà per l’Omeca di Lumezzane, un azienda che produce valvole speciali per clienti come Shell, Texaco, o Mobil. “Ora – dice Giambattista Camagna, il titolare – il mercato americano che fino a pochi mesi fa per noi era tabù, sta tornando alla nostra portata.

FONTE: Tassi di Cambio (Banca d’Italia)

Eh già, perché alla svalutazione della lira corrisponde la rivalutazione del marco tedesco (foto sopra) e del dollaro USA, improvvisamente all’estero conviene acquistare prodotti italiani…

Calcoliamo la svalutazione della lira sul marco (media annuale) rispetto all’ultimo giorno prima di sforare la banda stretta, cioè l’11 settembre 1992 quando un marco valeva 765,400 lire (il tetto massimo al millesimo!)

Grafico Excel su dati Banca d’Italia
QuotazioneConvenzione di cambioData di riferimentosvalutazione in % sul marco tedesco dall’11/9/1992
950,697Quantità di Lire per 1 Marco tedesco1993 24,21%
994,682Quantità di Lire per 1 Marco tedesco 1994 29,96%
1137,995Quantità di Lire per 1 Marco tedesco 1995 48,68%
1026,254Quantità di Lire per 1 Marco tedesco 1996 34,08%
982,212Quantità di Lire per 1 Marco tedesco 1997 28,33%
987,066Quantità di Lire per 1 Marco tedesco 1998 28,96%
989,999Quantità di Lire per 1 Marco tedesco 1999 29,34%

Chiusa parentesi andiamo avanti. Ma c’è stata la fuga di capitali?

Repubblica – 17 gennaio 1993

FONTE ORIGINALE: La Repubblica 17 gennaio 1992

RIASSORBITE IN UN MESE TUTTE LE PERDITE DEL ’92

MILANO – Euforia in Piazza Affari. Sono stati ancora una volta gli stranieri a battere sul tempo i nostri sfiduciati investitori e ad inaugurare il 1993 nel segno focoso del Toro. Pochi dati parlano da soli: in questa settimana con un crescendo di affari furibondo la Borsa ha conseguito un rialzo del 4,75%. Non basta: nel mese borsistico di gennaio, che si è concluso venerdì, il progresso è stato del 18,45 per cento. Nel giro di neanche 4 settimane si è più che riassorbita la perdita dell’intero ’92

Ah no! La borsa si risana prestissimo e i capitali dall’estero aumentano. Vediamo come stanno le cose a Berlino

Repubblica – 18 marzo 1993

FONTE ORIGINALE: La Repubblica 18 marzo 1993

BAYER TRADITA DAL MARCO

MILANO – La recessione economica e la forza del marco frenano i conti ’92 del gruppo Bayer, il colosso chimico che realizza il 79% della sua attività fuori dai confini tedeschi. Il giro d’affari è calato del 2,8% a 41,2 miliardi di marchi (circa 39.800 miliardi di lire), mentre l’utile netto è sceso del 15,7% a 1,6 miliardi di marchi. In calo quindi anche il dividendo, da 13 a 11 marchi per azione. La diminuzione del fatturato è stata influenzata in misura determinante, il 3% (ovvero 1,27 miliardi di marchi), dalla svalutazione di sterlina, lira e peseta e per l’1,7% (735 milioni di marchi) dalla diminuzione dei prezzi di vendita, compensata in parte dall’incremento delle quantità vendute (pari all’1,9% del giro d’affari, 803 milioni di marchi).

E non si tratta di un caso isolato…

Corriere della Sera – 4 giugno del 1993 “Germania mai così in basso”

CRISI SENZA FINE / LA LOCOMOTIVA D’EUROPA NELLA PEGGIORE RECESSIONE DEGLI ULTIMI 20 ANNI

Nel primo trimestre il prodotto interno lordo è crollato del 3,2 per cento. Quasi 350 mila occupati in meno. Precipitano gli investimenti ma la BUNDESBANK rimane inflessibile e non riduce il costo del denaro.

Ormai le cifre parlano chiaro: per la Germania è la crisi peggiore degli ultimi vent’anni. Mai i grandi indicatori congiunturali avevano avuto, dopo il trauma petrolifero del 1974, un andamento così negativo e così costante. I dati forniti ieri dall’Ufficio statistico federale di Wiesbaden sono drammatici: il prodotto interno lordo arretra del 3,2% rispetto a un anno fa, il prodotto sociale lordo, che tiene conto anche delle massicce fughe di capitali, addirittura del 3,7. Sono cifre relative al primo trimestre, confrontate con quelle dei primi tre mesi del ’92, e limitate alla sola Germania Occidentale.

Repubblica – 4 maggio 1993

FONTE ORIGINALE: La Repubblica 4 maggio 1993

ROMA – Giornata in rosa per i mercati italiani. L’asta dei Btp decennali ha registrato i tassi più bassi da un anno a questa parte (11,09% il rendimento netto, mezzo punto in meno dell’asta precedente) e richieste quasi doppie rispetto all’offerta.

FONTE: Ministero del Tesoro

Per difendere la lira era necessario offrire titoli con elevati tassi di rendimento. Ad esempio, il famigerato spread btp-bund aveva raggiunto il suo top storico proprio nell’ottobre 1992 con 769 punti base, ma nessuno prima del 2011 ne parlava chissà perché…. Anche altri paesi europei avevano fatto la stessa cosa, qui per approfondire.

Abbandonato il cambio fisso il rendimento dei titoli scese di anno in anno (foto sopra), con la sola eccezione del ’95. E come avete visto nessuno voleva acquistare i nostri Titoli di Stato…

Repubblica – 4 agosto 1993

FONTE ORIGINALE: La Repubblica 4 agosto 1993

ROMA – È iniziata la discesa dei tassi d’interesse europei dopo l’accordo di Bruxelles sullo Sme che, ampliando le possibilità d’oscillazione delle monete, ha reso possibile l’attuazione di politiche monetarie più distensive all’interno della Cee. Come avevano preannunciato il ministro del Tesoro, Piero Barucci e il governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, l’allargamento della banda di oscillazione di ciascuna valuta dello Sme al 15 per cento al di sopra o al di sotto della propria parità centrale, ha portato un po’ di calma sui mercati valutari ed ha eliminato i vincoli che frenavano una discesa dei tassi d’interesse nei paesi a moneta “debole”, costretti a tenere stretto il credito per difendere il cambio.

Una delle argomentazioni più frequenti usate contro la Lira era che nei primi anni novanta c’erano alti tassi di interesse sui prestiti. Tuttavia, come si evince chiaramente dalla parte finale dell’articolo, era una misura usata per impedire la svalutazione della nostra moneta. Infatti nel già citato rapporto sul 1992 della Banca d’Italia a pag 324 leggiamo:

FONTE: Rapporto Banca d’Italia sul 1992 – PAG 324

«Alla salvaguardia della lira rimanevano deputate le politiche monetaria e valutaria. Dal 24 agosto si intensificavano gli interventi sul mercato dei cambi. Il 4 settembre i tassi ufficiali, di sconto e sulle anticipazioni a scadenza fissa, venivano portati, rispettivamente, al 15 e al 16,5 per cento; la base monetaria veniva razionata

FONTE: Rapporto Banca d’Italia sul 1992 – PAG 363

Nell’estate del 92 la Banca d’Italia aveva portato il “Tasso Ufficiale di Sconto” dal 12% di luglio al 15% di inzio settembre, un rialzo assolutamente anomalo se si considera che – in tutto il 1992 – l’inflazione durante l’anno scese dal 6 al 5%, come si legge in un articolo dell’epoca (foto sotto), oppure nel database di inflation.eu

FONTE: La Stampa 22 dicembre 1992

Per evitare un peggioramento della bilancia commerciale, per evitare che gli italiani comprassero i prodotti tedeschi, bisognava evitare che gli italiani… NON andassero proprio a comprare! Dopo la “svalutazione” i prodotti italiani sono tornati ad essere più convenienti rispetto alla concorrenza straniera, ecco perché fu allentato il credito. Ma anche all’estero sono tornati convenienti i prodotti italiani.

Corriere della Sera 11 settembre 1993 – “Made in Italy mai così bene”

Spiragli / I vantaggi dopo la svalutazione della Lira. Baratta “un contributo decisivo all’occupazione”

La bilancia commerciale verso i paesi extra Cee attiva in luglio per 3.936 miliardi. In 7 mesi guadagnati 12 mila miliardi. Con gli USA +31% con la Cina +138%

Eh ma come si fa a competere con la Ciiiinah, ma dove deve andare l’italietta con la sua liretta !1!1!

Repubblica – 12 settembre 1993

FONTE ORIGINALE: La Repubblica 12 settembre 1993

LA SVALUTAZIONE CI HA FATTO BENE

Mario Monti – “Lo specifico timore che nel settembre del 1992 mi portava a dire “teniamo duro sul cambio” era che lasciandolo andare, si potesse trovare nella svalutazione la illusoria soluzione dei problemi, senza continuare a risanare la finanza pubblica”

Giornalista: E questo è accaduto?

Monti “No. Anzi, pochi giorni dopo, il 17 settembre, il governo Amato ha approvato quel famoso pacchetto di 93 mila miliardi. Allora mi sono chiesto se era contradditorio non volere la svalutazione perché avrebbe disincentivato il risanamento della finanza pubblica, mentre dovevo constatare che a svalutazione avvenuta il risanamento è stato praticato anche in dosi maggiori di prima.”

Fu una liberazione temporanea, perché ci eravamo legati mani e piedi al trattato di Maastricht, ratificato il 17 settembre 1992 dal Senato e il 29 ottobre 1992 dalla Camera dei Deputati. Il primo gennaio 1993 entrò in vigore e cominciò ufficialmente l’austerity che tuttora stiamo subendo

A sinistra Ciampi, a destra Spaventa – Corriere della Sera – 11 Settembre 1993
Mario Monti negli anni 90 – La Stampa 13 agosto 1994

Sulla prima pagina del Corriere della Sera dell’11 settembre 1993, Monti scriveva un pezzo dal titolo “l’impegno e gli obiettivi“:

«Quanto alla dimensione della manovra, in termini di contenimento del disavanzo, essa è certamente significativa. Il disavanzo, stimato nell’anno in corso al 10 per cento del prodotto interno lordo (pil) scenderà nel 1994 all’8,7 per cento, anziché salire all’11,1 per cento come sarebbe in assenza di interventi»

Insomma le “élite” ci avevano restituito un ultimo periodo di benessere, per mantenere quel consenso necessario affinché gli italiani digerissero in scioltezza il successivo arrivo dell’Euro.

FONTE: Banca d’Italia – appendice al rapporto annuale sul 1998 (pag 18)

L’inflazione, dopo l’abbandono del cambio fisso, scese di anno in anno (con la sola eccezione del 95) proprio a causa delle politiche di austerity.

FONTE: Banca d’Italia – appendice al rapporto annuale sul 1998 (pag 17)

Il 1993 fu un anno di recessione ma il 94 e il 95 fecero segnare un aumento del Pil rispettivamente del 2,2 e del 2,9%. Pensate se invece avessimo continuato a fare politiche espansive….

Repubblica – 22 aprile 1994

FONTE ORIGINALE: La Repubblica 22 aprile 1994

LA LIRA ANTICRISI SCACCIA IL PESSIMISMO

DALLE Dolomiti alla Sicilia, dalla Sardegna alla costa romagnola, il coro che si leva è unanime: il ’94 sarà un anno buono per il turismo italiano. Gli effetti della svalutazione della lira, del settembre del ’92, infatti cominciano a vedersi adesso e la forza delle monete estere sta spingendo gli stranieri a tornare a visitare il Bel Paese. Un segnale importante, quasi una prova generale per la prossima estate, è giunto dalle festività pasquali che hanno sconvolto le ombrose previsioni degli albergatori e delle agenzie di viaggio. Nelle più importanti mete turistiche della penisola si è registrato il tutto esaurito, un vero e proprio boom che solo in pochi aspettavano.

Non solo industria, anche fare le vacanze in Italia, di colpo diviene più conveniente. Quelli che “dobbiamo vivere di solo turismo” ora avranno capito i vantaggi del cambio flessibile?

Corriere della Sera 14 febbraio 1996 – “Grazie alla Lira”

BILANCIA COMMERCIALE, 1995 SENZA PRECEDENTI

Magica lira, unica, vera colonna dell’Italia. Se non fosse sottovalutata staremmo tutti un po’ peggio e probabilmente anche San Valentino sarebbe più triste (…)

Negli anni precedenti, cioè prima che la lira si svalutasse e fosse espulsa dal sistema monetario europeo, nel settembre del 1992, il saldo commerciale era, da anni, in rosso. Avere una valuta debole fa male al cuore e all’orgoglio ma evidentemente fa bene al portafoglio. (…)

In Europa le cose sono state positive (per l’Italia) soprattutto in Spagna, Grecia, Germania e Portogallo; fuori Europa, in primo luogo con il Sud-Est asiatico ma anche con il Giappone e gli Stati Uniti (…)

Insomma, se non fosse per questa lira senz’anima, oggi saremmo a contare le rose di San Valentino invece di mandarle a mazzi.

Continua il successo dell’Italia nella “competizione” sulle esportazioni. Vediamo la situazione in Francia.

Repubblica – 17 febbraio 1996

FONTE ORIGINALE: La Repubblica 17 febbraio 1996

LA FRANCIA CONTRO L’ ITALIA ‘LA UE DEVE PAGARVI IN LIRE’

PARIGI – La Francia non ha ancora ‘digerito’ la svalutazione della lira e avrebbe intenzione di tornare alla carica per punire il nostro paese. Secondo il settimanale L’Express, il governo parigino avrebbe intenzione di proporre al prossimo consiglio europeo che gli aiuti dell’Unione europea al nostro paese (agricoltura, Mezzogiorno) non vengano più pagati in Ecu, bensì in lire. L’eccedente così realizzato dalla Ue potrebbe essere versato nelle casse di agricoltori e industriali francesi e tedeschi, penalizzati dalle esportazioni italiane.

(…) durante il vertice di Cannes, nel giugno scorso, Chirac attaccò Dini. Evocando le difficoltà degli allevatori d’Oltralpe, il capo dello Stato sbottò: “Provengo da una regione agricola e mi risulta che dalla mia Corrèze non si esporta più nemmeno un vitello verso l’Italia

Torniamo in Germania, il prossimo articolo vi farà cadere la mascella!

La Stampa – 18 marzo 1996

FONTE ORIGINALE: La Stampa 18 marzo 1996

“Il Marco fa scappare le imprese tedesche”

BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

In un anno sono quasi raddoppiati, ed è un record che fa discutere il mondo del lavoro e gli analisti: gli investimenti esteri delle imprese tedesche sono saliti da 27 miliardi di marchi nel 1994 a 50 miliardi nel ’95. Soprattutto per due ragioni che mettono in luce debolezze del sistema Germania, nota la Bundesbank nel suo ultimo rapporto mensile: per difendersi da costi del lavoro troppo alti e per controbattere a un Supermarco che compromette le esportazioni. Che non si tratti di un caso ma di una tendenza al rialzo dopo una flessione, lo conferma il paragone con gli anni precedenti: nel ’91 gli investimenti all’estero erano stati di 39 miliardi di marchi. A conferma poi che la Germania ha perduto molta della sua forza di attrazione per l’industria, come nota ancora la Bundesbank, un altro dato: gli investimenti delle imprese straniere in Germania sono stati di 13 miliardi di marchi nel ’95, ma erano stati di 26 miliardi l’anno precedente. Come riassume la Banca di emissione «la Germania partecipa meno di altri Paesi alla continua internazionalizzazione della produzione». La polemica dura da mesi: anche se fra i fattori che inducono le imprese tedesche a massicci investimenti esteri c’è la necessità di rafforzare le proprie posizioni su quei mercati, di fronte alla concorrenza interna e in presenza di un marco troppo forte; e anche se il dato può essere ricondotto all’apertura di nuovi mercati agli investimenti stranieri, la spiegazione principale è «la difficoltà di produrre nel luogo di produzione Germania». Per gli impacci burocratici che scoraggiano l’avvio di nuove attività; per un sistema di tassazione giudicato vessatorio dalle imprese. E per un mercato del lavoro gravato da costi aggiuntivi troppo elevati e ancora troppo poco mobile, nonostante i progressi degli ultimi due anni: produrre in Germania il motore di un’automobile costa quasi il doppio, a parità di qualità, rispetto a Paesi del Sud America o dell’Europa orientale. Di fronte a difficoltà che si cumulano, la scelta di produrre all’estero si impone, sostengono le imprese. Ma in presenza di una disoccupazione record – 4 milioni e 300 mila persone senza lavoro in febbraio, l’11% – il dibattito economico-politico sul futuro del sistema-Germania si infiamma, prossimo appuntamento il rinnovo dei contratti.

Incredibile la Germania qui descritta è la sorte che è toccata all’Italia dopo l’ingresso nell’euro! Ma non è finita qui, ascoltate cosa diceva il cancelliere Helmut Kohl ai suoi cittadini

La Stampa – 26 aprile 1996

FONTE ORIGINALE: La Stampa 26 aprile 1996

KOHL CHIEDE «LACRIME E SANGUE»

LA LETTERA AI TEDESCHI

BONN – Dalle colonne della «Bild Zeitung», il quotidiano tedesco più diffuso con quasi cinque milioni di copie, il Cancelliere Kohl ha inviato ieri questo appello in forma di lettera ai suoi concittadini:

«Care concittadine, cari concittadini, in questi giorni dobbiamo confrontarci con decisioni importanti per il futuro del nostro Paese. Di fronte all’alto numero di disoccupati il governo vuole fare uno sforzo particolare – e del resto non ha altra scelta – per stimolare la crescita e creare dunque nuovi, più sicuri posti di lavoro.

Nel nostro Paese molte cose vanno bene, ma tutti noi dobbiamo cambiare il modo di pensare a determinate situazioni. Per esempio il costo del lavoro da noi è molto più alto che in altri Paesi. Questo fatto ha fatto sì che in Germania non si investa più abbastanza. Per questo abbiamo deciso misure che toglieranno questi costi, e aiuteranno dunque il futuro della nostra economia.

Risparmiare non è un fine in sé, ma assicura le fondamenta per una futura crescita, una crescita durevole e sana. Qualcuno propone di finanziare col credito lo Stato sociale. Ma il bilancio dello Stato non è diverso dal bilancio personale di ognuno di noi: non si può vivere al di sopra delle proprie possibilità.

Sono convinto che la maggior parte di voi se ne rendono conto e riconoscono che queste misure sono necessarie per combattere in modo efficace la disoccupazione. Se non prendiamo provvedimenti adesso, altri posti di lavoro andranno perduti. Il nostro Stato sociale non sarebbe allora più finanziabile.

Soltanto se resteremo tutti uniti potremo assicurare, un futuro sereno al nostro Paese!». Helmut Kohl

FONTE: Ameco ➡️ General Government ➡️ Net lending (ESA 2010) ➡️ Net lending (B9)

I tedeschi che hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilità, a dir poco surreale! Con gli stessi mantra usati in Italia, dove si vuole convicere che lo stato è come il padre di famiglia, oltre che a colpevolizzare i cittadini. Lettera molto ipocrita visto che la Germania (foto sopra) nel 1995 aveva fatto un deficit del 9.4%, potete verificare il dato sul database ufficiale dell’UE (Ameco).

Repubblica – 26 aprile 1996

FONTE ORIGINALE: La Repubblica 26 aprile 1996

LIRA, L’EUROPA TIFA PER IL RITORNO NELLO SME

BRUXELLES – “Benvenuta lira”, se e quando la moneta italiana rientrerà nel Sistema monetario europeo. Yves Thibault de Silguy, il commissario europeo responsabile della politica economica e monetaria, si felicita “della determinazione mostrata da Romano Prodi nell’annunciare che il rientro della lira nello Sme sarà un obiettivo prioritario del suo governo“. Il rafforzamento dello Sme, ha continuato De Silguy, è “qualcosa che può rendere solo felice la Commissione europea”. L’appartenenza “stabile” al Sistema monetario per due anni è anche condizione preliminare per far parte della moneta unica, l’euro, che prenderà il via dal primo gennaio 1999.

Come correttamente indicato, fra i requisiti di Maastricht c’era una permanenza di almeno due anni nello SME, l’articolo 109 J per essere precisi. Una specie di “fidanzamento” prima di fissare il tasso irrevocabile di cambio, cioè il matrimonio vero e proprio in cui l’ECU da moneta “virtuale” diventerà una moneta reale.

Le norme del Trattato di Maastricht

Repubblica – 1 ottobre 1996

FONTE ORIGINALE: La Repubblica 1 ottobre 1996

CHIRAC: MONETA UNICA PER CONTROLLARE LA LIRA

PARIGI – La parità della lira sarà il piatto forte del colloquio a quattr’occhi tra Romano Prodi e Jacques Chirac, in programma venerdì mattina a Napoli nel quadro del vertice bilaterale. Ieri mattina, durante una visita nel Pas-de-Calais, il capo dello Stato francese ha lamentato gli effetti negativi del cambio lira-franco sull’industria d’Oltralpe, mentre a Washington, dove si svolge l’ assemblea annuale del Fondo monetario, fonti ufficiali francesi hanno chiesto un rapido ritorno della nostra moneta nel Sistema monetario europeo. (…)

Chirac non ha avuto peli sulla lingua: “Le fluttuazioni monetarie che conosciamo in Europa non sono accettabili e sono all’origine dell’essenziale delle nostre difficoltà”. Secondo il capo dello Stato, “contrariamente a quel che molti pensano, non sono le iniziative del Sud-Est asiatico ad essere inquietanti per la produzione francese nel tessile, è la lira italiana”. Questa situazione, ha continuato, giustifica la nostra determinazione a introdurre la moneta unica e a stabilire regole del gioco precise per imporre a tutti i paesi europei, dentro o fuori l’euro, una disciplina monetaria. Queste parole sono state pronunciate di fronte ai dirigenti di una regione dove è concentrata la produzione del tessile-abbigliamento e dove più forte è l’esasperazione contro l’Italia, accusata dai piccoli e medi industriali di aver praticato una svalutazione competitiva.

FONTE: Tassi di cambio – Banca d’Italia
Grafico Excel su dati Banca d’Italia

Con lo stesso metodo del Marco, ecco la svalutazione media annuale nei confronti del Franco, prendendo come riferimento l’ultimo giorno di appartenenza alla banda stretta, cioè l’11 settembre 1992 quando ci volevano 224,845 franchi per una lira. L’andamento della svalutazione, in termini percentuali, è simile a quello del marco tedesco.

QuotazioneConvenzione di cambioData di riferimentosvalutazione in % sul franco francese dall’11/9/1992
277,538Quantità di Lire per 1 Franco Francese199323,44%
290,794Quantità di Lire per 1 Franco Francese 199429,33%
326,629Quantità di Lire per 1 Franco Francese 199545,27%
301,755Quantità di Lire per 1 Franco Francese 199634,21%
291,776Quantità di Lire per 1 Franco Francese 199729,77%
294,429Quantità di Lire per 1 Franco Francese 199830,95%
295,182Quantità di Lire per 1 Franco Francese 199931,28%

Repubblica – 25 novembre 1996

FONTE ORIGINALE: La Repubblica 25 novembre 1996

Il 25 novembre 1996 Prodi & Ciampi riportano la Lira nel Sistema Monetario Europeo (SME) con il cambio 990 lire per 1 marco tedesco. Il resto della storia la conoscete.

Conclusione

FONTE ORIGINALE: La Stampa 3 giugno 1989, trascrizione del testo qui

Vorrei concludere questo lungo articolo con una citazione di un altro ex-governatore della Banca d’Italia. Paolo Baffi il 3 giugno 1989 scriveva sulle colonne de La Stampa dal titolo “Moneta Cee, falso traguardo”:

«Quando si è eretto il feticcio dei cambi fìssi le conseguenze sono state nefaste» – «Pochi bambini e tanti vecchi. Ecco il vero problema della comunità» – Una nuova ondata di immigrati è inevitabile (…)

« La storia monetaria d’Europa ci rivela che, ogni qual volta la parità di cambio è stata eretta a feticcio o imposta senza adeguato riguardo alle sottostanti condizioni dell’economia, le conseguenze sono state nefaste (…)

« Si deve osservare che un sistema a guida marco, fondato sulla stabilità dei prezzi, e sulla rigidità del cambio, impone a qualsiasi Paese che subisca uno shock riduttivo della sua capacità di produrre reddito (come furono i due del prezzo del petrolio negli Anni Settanta) la scelta fra il finanziamento estero e il ricorso all’abbattimento dei prezzi interni e, maggiormente, dei salari, che da Keynes in poi sappiamo essere oltremodo difficile e costoso in termini di tranquillità sociale e di produzione di reddito. L’aggiustamento relativo di prezzi e salari sarebbe più facile su un’onda di moderata inflazione diffusa al sistema, ma l’obiettivo essendo quello più severo dei prezzi stabili, questa agevolezza non si dà e di tanto si aggrava il vincolo della fissità del cambio. »

Se non si conosce la storia, si è destinati a ripeterla.