Le cazzate del liberismo smontate da Von Mises ed Einaudi

In poche settimane di emergenza, il coronavirus è riuscito nel miracolo di far sciogliere – come neve al sole – 30 anni di dogmi del liberismo e dell’europeismo, infatti in molti si stanno svegliando.

Si credeva che la morte (o la paura della morte) potesse far convertire gli atei in credenti e invece è riuscita a far convertire i liberisti in “keynesiani”, anche quelli più insospettabili.

Oggi queste persone invocano l’aumento della spesa pubblica senza limiti e hanno scoperto che – di colpo – il debito pubblico non rappresenta più un problema, quando fino a pochi mesi prima sostenevano l’esatto contrario.

Dovete sapere, in verità, che – il fatto che la spesa pubblica non ha bisogno di “coperture” e che il debito pubblico non è il fardello delle nuove generazioni – lo sapevano anche alcuni fra i peggiori liberisti della storia.

Ecco cosa dicevano due illustri rappresentanti del liberismo in tal proposito: Von Mises ed Einaudi rispettivamente negli anni 40 e 50. Cominciamo!

Von Mises – Bureaucracy (1944)

Ludwig von Mises era uno dei massimi esponenti della scuola austriaca, sentite cosa scriveva negli anni ’40 a chi sosteneva che la pubblica amministrazione andava gestita come un’azienda privata.

FONTE: Von Mises – Bureaucracy (pag 47)

« Nella pubblica amministrazione non c’è alcuna connessione fra costi e ricavi. I servizi pubblici spendono soltanto; il reddito insignificante derivante da fonti speciali (per esempio, la vendita di stampati da parte del Poligrafico dello Stato) è più o meno casuale. Le entrate derivanti da dogane e imposte non vengono “prodotte” dall’apparato amministrativo. La loro fonte è la legge, non le attività dei funzionari della dogana o degli esattori.

Non è merito di un esattore se i residenti nel suo distretto sono più ricchi e pagano imposte più alte di quelli di un altro distretto. Il tempo e il lavoro necessari per l’attività amministrativa di riscossione di un’imposta sul reddito non sono proporzionali al totale complessivo del reddito imponibile a cui l’imposizione si riferisce.

Nella pubblica amministrazione non esiste un prezzo di mercato per i risultati. Ciò rende indispensabile la gestione degli uffici pubblici secondo principi completamente diversi da quelli applicati nell’ambito della redditività. (…) »

FONTE: Von Mises – Bureaucracy, pag 48

« Il semplice cittadino paragona il funzionamento dell’amministrazione pubblica a quello del sistema del profitto, che gli è più familiare. Facendo ciò, egli scopre che la gestione burocratica è dispendiosa, inefficiente, lenta e facile a incepparsi nelle lungaggini degli uffici. Accade così che egli non riesca a capire come gente ragionevole permetta a un sistema così dannoso di continuare a esistere. Perchè non adottare i ben collaudati metodi dell’impresa privata?

Tali critiche non sono troppo acute. Esse mal comprendono i tratti caratteristici della pubblica amministrazione; non sono consapevoli della fondamentale differenza tra un’azienda pubblica e un’impresa privata alla ricerca del profitto. Ciò che tali critiche definiscono mancanze e pecche nella gestione degli uffici amministrativi sono invece caratteristiche essenziali di quest’ultima.

Un’amministrazione pubblica non è un’impresa che ricerca il profitto; non può far uso di alcun calcolo economico, dal momento che il risultato della sua attività non ha un valore monetario sul mercato. Essa deve risolvere problemi sconosciuti alla gestione finalizzata al profitto. La possibilità di migliorare la sua attività, rimodellandola sul tipo di un’impresa privata, è una ipotesi improponibile. È un errore giudicare l’efficienza di un ministero o di un sistema di polizia paragonandola con il funzionamento di un’impresa soggetta all’interazione dei fattori di mercato. »

Lo Stato non si finanzia con le tasse, l’impresa pubblica deve solo erogare un servizio fuori dalle logiche di profitto.

Lo stesso concetto lo possiamo applicare alla sanità: perché aver ridotto ospedali, medici, posti letto nel nome del “risparmio” non è stata una buona idea (per usare un eufemismo).

Andiamo avanti, parliamo del debito pubblico.

Einaudi – Miti e paradossi della giustizia tributaria (1959)

Luigi Einaudi, già governatore della Banca d’Italia nel 1945-48, era un convinto sostenitore dello Stato minimo in economia e del pareggio di bilancio. Partecipò anche all’assemblea costituente, dove però le sue idee non trovarono spazio.

Tuttavia, al contrario dei neoliberisti di oggi, sapeva benissimo che il debito pubblico corrispondeva a beni reali e non al fardello delle nuove generazioni.

Leggiamo un suo estratto dal libro “Miti e paradossi della giustizia tributaria“.

FONTE: Libro integrale consultabile qui

CAPITOLO QUINTO. FANTASMI ILLUSIONI ED ELEGANZE DEI DEBITI PUBBLICI (pag 118-120)

« Gran parte della condanna morale lanciata dai politici austeri contro il debito pubblico è dovuta alla convinzione dell’immoralità di godere noi vivi oggi i vantaggi della spesa e di lasciar pagare il conto ai lontani nepoti. Il debito pubblico non merita davvero tanta lode né tanta infamia. Se ne può dire bene o male o un po’ bene e un po’ male; ma non a causa della faccenda dei posteri.

I posteri c’entrano; ma in modo del tutto diverso da quello immaginato dalla credenza comunemente diffusa nel volgo (ndr popolo) che il debito pubblico sia un trucco per far pagare ai nepoti le spese sostenute dai viventi. Disgraziatamente per i vivi, non esiste nessun mezzo per far pagare una spesa qualunque, grossa o piccola, privata o pubblica, alla gente la quale deve ancora nascere. È incredibile come gli uomini siano incapaci, appena si tratti di fatti collettivi, di veder chiaro negli accadimenti più semplici. (…)

Così, ragionando di debiti pubblici, tutti sono persuasi che saranno pagati dai nepoti. I critici accusano gli egoisti vivi oggi di lasciare ai venturi l’eredità dolorosa di pagare quanto si è speso e goduto oggi. Nessuno chiede come il miracolo accada.

Se si costruisce una ferrovia dal costo di 100 milioni, forsechè il terreno sarà stato spianato, i terrapieni innalzati, i ponti costruiti, le gallerie forate, le stazioni erette, i binari lanciati con lavoro e con materiale futuro? Mai no. Che cosa è il costo della ferrovia, se non la fatica durata nello spianar terreni, innalzar terrapieni, forar gallerie, costruire ponti, fabbricare traversine rotaie locomotive carrozze e carri? Chi durò quella fatica? I posteri od i viventi? Chi rinunciò alle cose che avrebbe potuto produrre se non avesse durato nella fatica del costruire la ferrovia e dotarla di congruo materiale? I posteri od i vivi? Talun moralista grida contro le guerre osservando che i vivi le fanno e ne ottengono i frutti e i posteri pagheranno lo scotto. (…)

Non esiste nessun mezzo per far sostenere ai posteri il costo, la fatica, il dolore di nessuna spesa presente. Se noi vivi vogliamo fare una spesa dobbiamo pagarcela noi con i mezzi presenti, dobbiamo volgere a quello scopo i mezzi che sarebbero disponibili per raggiungere altri fini presenti. »

Anche ai peggiori liberisti della storia erano chiari questi concetti elementari. E finalmente anche oggi sembra suonata la sveglia per molti, voi avete ancora dei dubbi?