RIFORME!!! – Articolo del 1899

Durante un pranzo in un ristorante, trovo alcuni ritagli di vecchi giornali incorniciati e appesi sui muri. Quello che più colpisce la mia attenzione è un articolo intitolato “RIFORME!!!” (il maiuscolo e i tre punti esclamativi sono testuali), pubblicato su “Il Salento” la rivista del Partito Socialista Italiano per quanto riguardava la Puglia intera.

Nonostante la pubblicazione risalga alla fine del XIX secolo – il 23 marzo 1899 per essere precisi – nella sua prima metà potrebbe benissimo essere stato scritto di recente. L’autore si firmò con lo pseudonimo “Salentino”. Ecco dunque il testo integrale, buona lettura.

RIFORME!!!

L’eco degli urli della fame che buona parte delle plebi italiane fece risuonare nel cielo d’Italia nell’ultimo maggio, non è ancora spenta. Nessun miglioramento economico (i socialisti lo sapevano già) che è conseguito; nessun provvedimento efficace è stato preso dal governo; neppure un passo avanti si è fatto sulla via della libertà. Anzi…. Tutt’altro!

La prostrazione e i freni rinsaldati fanno tacere le plebi affamate e oppresse: ma manco a farlo a posta, una parte della borghesia, senza pensarlo, tenta di far le vendette, organizzandosi in una specie di leghe di resistenza contro l’insopportabile fiscalismo del bel regno. Proprio così: il disagio economico ha raggiunto tale estremo da produrre manifestazioni di ogni sorta.

Somiglia a una specie di infezione celtica, che non cede a nessun rimedio: repressa apparentemente in una parte dell’organismo, riappare poco dopo in un’altra parte e minaccia organi più interessanti. I rimedii comuni non sono più di nessuna efficacia.

C’è chi spera ancora in qualche rimedio radicale, ma a molti la catastrofe sembra inevitabile. Adesso son dunque i contribuenti proprietari, che tentano di mettere un argine contro la voracità del fisco. Non sono mancati i consigli dei competenti.

Quei valorosi economisti liberisti, che rispondono ai nomi di un Pantaleoni, di un Pareto, di un De Viti de Marco, hanno fatto sentire la loro autorevole voce.

Essi dicono: Se voi contribuenti volete opporvi seriamente alle nuove imposizioni, dovete anche combattere vigorosamente le spese eccessive. I bilanci della guerra e della marina devono e possono essere ridotti di molti milioni. Molte spese improduttive devono essere eliminate. Se no, come volete che non si impongano nuove tasse?

Ah! dimenticavo che un altro liberista, Giulio Fioretti, ha indicato un bilancio sul quale si possa mietere larga messe di economie. Sapete su quale? Sul più tisico, sul più ischeletrico: sul bilancio della pubblica istruzione. Sicuro! ma non si creda che il Fioretti voglia la demolizione dell’istruzione pubblica. No, la vuole solamente lasciare all’iniziativa privata, a chi è direttamente interessato: allo Stato semplicemente la cura di provvedere all’istruzione dei poveri.

Se non che lo Stato, che rappresenta così fedelmente quei signori che si riunirono nella sala Ragona dopo i moti di Sicilia, troverebbe subito che l’istruzione a nulla giova i poveri, per i quali anzi divenuta pericolosa, e farebbe a meno di quella poca spesa.

Guglielmo Ferrero, poi, sul Secolo, ha scritto che dalla nostra borghesia non è lecito aspettarsi riforme risanatrici. E questa e pure la mia opinione. La borghesia italiana deve essere militarista e reazionaria, perché violenta e ignorante. Se si potesse fare un’inchiesta sulla fortuna dei nostri ricchi, si vedrebbe subito di che lagrime di gronda e di che sangue.

Nella massima parte dei casi è il frutto della spoliazione delle amministrazioni pubbliche, di commerci fraudolenti e senza scrupoli, di industrie fatte a base sofisticazione e di sfruttamento feudale e bestiale. Quella concorrenza moderna fatta di calcoli positivi, di studi tecnici, di accorgimento geniale, di intuito chiaroveggente, non vi ha nulla a che fare.

E quegli economisti, che di quella concorrenza sono gli apostoli, devono o scappare a insegnare altrove le loro dottrine, esempio il Pareto o il Pantaleoni; o devono rassegnarsi a vedersi postposti nella lotta politica a un qualunque sbrigafaccende, com’è avvenuto in un collegio della nostra provincia.

Del resto è desiderabile che questi valorosi economisti insistano a consigliare la riduzione delle spese militari. Non nutriamo nessuna fiducia che la classe dirigente si lasci persuadere: anzi crediamo che tutta la borghesia europea darà fra poco un esempio solenne del suo tornaconto a tener su gli eserciti, facendo far cilecca alla proposta dello Czar sul disarmo.

Si concluderà, certamente, che gli eserciti sono attualmente necessari per poter difendere i vari interessi delle nazioni, minacciati da tante circostanze. Ma questo pregiudizio o menzogna dovrebbero tentare di abbattere gli economisti sullodati, dimostrando, come le nazioni possano tener pronto un colossale esercito in difesa della patria, ossia dei vari interessi nazionali, senza assoggettarsi a spese, che esauriscono o assorbono le maggiori entrate di uno Stato.

E come? Risollevando la proposta già fatta per la Francia da un celebre loro maestro, il Bastiat. Ecco cosa ci proponeva:

  • Articolo I. Ogni cittadino valido, senza eccezione, resterà sotto le bandiere durante quattro anni, da ventuno a venticinque anni, per ricevere la istruzione militare.
  • Articolo II. A meno che non provi, a ventun anno di sapere perfettamente la scuola di pelottone

Il Bastian riteneva a ragione che lo Stato avrebbe pochissimi soldati da mantenere, perché la gioventù si affretterebbe a imparare il per fianco destro e la carica in dodici tempi per evitare i quattro anni di servizio.

E una forte agitazione in questo senso basterebbe a persuadere la nostra classe dirigente? Niente affatto! Ma almeno potrebbero una buona volta convincersi, quei signori economisti, che questa via delle riforme non spunterà mai: di quelle riforme, s’intende, che porterebbero il loro beneficio su tutte le classi di una nazione.