“Maastricht porterà alle macerie d’Europa” – Giovanni Russo Spena (27 ottobre 1992)

Terza puntata dei discorsi integrali pronunciati in occasione della ratifica del trattato di Maastricht, questa volta passiamo alla camera dei deputati.

In questo articolo riporto la trascrizione del discorso di Giovanni Russo Spena fatto il 27 ottobre 1992, presa dagli atti parlamentari a pagina 5150, oppure da ascoltare sull’archivio di Radio Radicale, sotto l’audio in questione.

L’allora deputato di Rifondazione comunista risulta ancora vivo. Buona lettura e/o ascolto


FONTE: Camera dei deputati – Archivio XI legislatura

Signor Presidente, noi non condividiamo le motivazioni poste a base della pregiudiziale di costituzionalità presentata dal gruppo del Movimento sociale italiano, ma non possiamo fare a meno, a nostra volta, di richiamare motivi forti di incostituzionalità.

Permettetemi anzitutto, colleghi, di esprimere un dubbio di fondo. Noi abbiamo la sgradevole sensazione che si stia andando, con frenesia suicida, con immotivata fretta e con pressappochismo, ad un voto espresso per mero simbolismo politico, al quale ci costringe il Governo Amato. Stiamo rischiando di svolgere una discussione sul nulla, il che è sempre aberrante sotto il profilo politico e pericoloso per le sorti della democrazia, ove si consideri che sostanzialmente si dà all’esecutivo una delega in bianco, una incostituzionale superdelega, sotratta al controllo, minimo fìnanco, del Parlamento.

Ci troviamo, colleghi, di fronte all’ennesimo golpe istituzionale, iscrivibile in quel distorto rapporto che si è venuto a creare tra esecutivo e Parlamento e che la scorsa settimana ha provocato una importante iniziativa politica delle opposizioni, garantista, democratica, costituzionale. La realtà è che, dopo le tempeste monetarie degli ultimi sessanta giorni, che fanno pensare a quanto avesse ragione Carlo Marx quando illustrava nella Critica dell’economia politica la sacralità della moneta per il capitale; dopo le scorribande in Europa dei fondi e dei capitali a cui il nostro Governo, in nome di una malintesa libertà, non ha contrapposto alcun vincolo o controllo; soprattutto (si tratta di un dato politicamente rilevante), dopo il voto della Danimarca e quello francese, dopo il dibattito che, in termini di fratture e di punti di vista contrapposti, si è aperto in Gran Bretagna e nella stessa Germania, riesce a noi diffìcile comprendere a quali fini, su che cosa, per quali contenuti noi stiamo qui delegando il Governo a firmare il trattato.

Lo dico con estrema responsabilità, ma anche con grande fermezza: noi non accettiamo che il Parlamento sia ridotto ad una cassa di risonanza del Governo, non accettiamo di elargire a chicchessia, tantomeno al Governo Amato, deleghe in bianco! Noi impugniamo la costituzionalità di un siffatto processo decisionale!

A nostro avviso, sarebbe costituzionalmente opportuno e politicamente saggio sospendere questa finta discussione parlamentare, questa allegoria di un’approvazione che il Governo vuole estorcere, e far uscire, anche in Italia, il dibattito dalla clandestinità.

È vero — il ministro Colombo dovrebbe saperlo — che l’Italia è il paese dei misteri, dei segreti, degli omissis; è vero che l’opacità nella gestione del potere fa velo alla trasparenza ed allo Stato di diritto; è vero che siamo l’Italia di Ustica. Ma è una vergogna per la democrazia il fatto che l’unico paese europeo nel quale alla gente siano stati sequestrati la conoscenza, il dibattito, una decisionalità sia pure parziale e dimezzata sul trattato di Maastricht, sia proprio l’Italia. Questo è il vero deficit di democrazia. Ai lavoratori, alla gente si racconta ogni sera dagli schermi televisivi, da parte di compiacenti giornalisti, che occorre stringere la cinghia in nome di Maastricht, che lo Stato sociale universalistico deve diventare residuale in nome di Maastricht, che il salario nominale, per la prima volta dal dopoguerra, deve scendere in nome di Maastricht, senza che i soggetti sociali e politici possano discutere apertamente e collettivamente e dire la propria, esprimere quindi il proprio punto di vista.

Ci troviamo di fronte ad una situazione stranissima, nella quale Maastricht è diventato per il nostro paese, per le bambine ed i bambini del nostro paese, in verità per ogni cittadino comune, una sorta di mostro affamatore dalle cinquanta teste e dalle cento braccia, come il vendicatore mitologico dell’ira di Zeus contro i titani.

MARCO PANNELLA. Ohi, datti una calmata!

GIOVANNI RUSSO SPENA. Pannella, fammi parlare, perché abbiamo il tempo contingentato!

Siete voi, signori del Governo, i veri antieuropeisti, perché in nome della finanza, della valorizzazione del capitale, dell’intreccio tra profitti e rendite finanziarie state distruggendo l’idea forte dell’Europa solidale, dell’Europa dell’autodeterminazione dei popoli, dell’Europa come socialità nuova, come comunità nuova. Non solo, ma state distruggendo anche l’idea di una nuova statualità, tanto più necessaria in un momento nel quale si frantuma drammaticamente l’idea stessa dello Stato nazione, delle identità statuali nazionali, e consuma la sua crisi annunziata nella tragedia quotidiana della frammentazione, del sangue versato, della povertà, degli esodi biblici di massa.

Voi state costruendo un’Europa che sarà insieme l’Europa dei capitali e l’Europa dello sviluppo malthusiano, l’Europa dei razzismi e dei profughi, a cui non si risponde con il vecchiume delle vetuste identità nazionali, delle patrie e dei gagliardetti tricolori, con un antieuropeismo patriottardo di tipo «lepenista», ma muovendo al trattato una critica globale — come noi facciamo — sul piano istituzionale, politico, sociale e militare. Noi siamo per la costruzione di un’Europa democratica, pacifista, ispirata alla giustizia sociale ed alla solidarietà nei suoi rapporti con il terzo e il quarto mondo, per un’Europa nella quale i popoli comunichino reciprocamente le loro identità, rompendo il muro dei Diktat delle gendarmerie militari.

Permettetemi, colleghi, di notare, incidentalmente, che gravissime sono le responsabilità che a tale proposito si sono assunte ad esempio le confederazioni sindacali nell’accettare lo sbiadimento progressivo, lo scadimento ed il definitivo annullamento dell’idea di Europa sociale e federale, che è nella tradizione italiana dell’europeismo più alto e democratico; così come gravi responsabilità si sono assunte e si assumerebbero in quest’aula quei gruppi parlamentari della sinistra che — com è successo nella discussione al Senato — si attardassero nei dubbi retorici nelle fumisterie, in una logica emendativa e correttiva che appare tardiva, desolata ed inefficace rispetto alla caduta grave di politicità e di storicità nella quale l’Europa dei dodici è caduta. Questo atteggiamento non produrrebbe altro effetto che quello di alimentare una torbida e pericolosa caduta di credibilità dell’idea europea; sarebbe spia di un immane fallimento, della perdita assoluta di ogni punto di vista e di ogni identità.

La nostra proposta dunque sul piano istituzionale è precisa e nello stesso tempo semplice; non solo, ma è ovvia, come deve essere il delinearsi di un vero processo democratico. Invece di condurre qui un simulacro di discussione, intempestiva e insieme frettolosa, imposta sullo stile dei ladri di Pisa da un Governo reticente e timoroso ad un Parlamento di ima Repubblica che è ancora parlamentare, utilizziamo il tempo che l’attuale riflessione, in tutti i principali paesi europei, ci lascia per andare ad una informazione di massa e ad una consultazione popolare.

Noi chiediamo che la Commissione bicamerale per le riforme istituzionali stralci ed anticipi la discussione sull’istituto referendario. In quella sede riproporremo il tema della legittimità dell’istituto referendario in ordine a quelle materie che attengono ai trattati internazionali e che oggi sono escluse, recuperando anche l’importante discussione sul referendum propositivo che era stato già parte ampia e non mediocre dei lavori della Commissione Bozzi, oltre che rispondere ad una domanda politica forte che è cresciuta in questi anni nel paese.

In via subordinata, se non si realizzasse un consenso sufficientemente ampio intorno a questa nostra proposta, proponiamo sin da ora l’indizione di un referendum consultivo.

In secondo luogo, poniamo una riserva di costituzionalità alla ratifica del trattato di Maastricht, già sollevata nel paese ed in dottrina da eminenti costituzionalisti; la proporremo anche in sede di presentazione di emendamenti, che noi riteniamo ammissibili, insieme a quelli presentati da altri gruppi, ed in sede di deliberazione conclusiva. Il nostro esplicito richiamo è all’articolo 19 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati. Riteniamo, infatti, che qualsiasi presa di posizione o azione nazionale prevista in applicazione di un’azione comune e qualunque misura di recepimento sul piano nazionale delle decisioni del Consiglio non potrà in nessun modo essere incompatibile o trovarsi, per i suoi effetti, in contrasto con l’articolo 11, prima e seconda parte, della Costituzione italiana e con i princìpi materiali fondamentali che in esso hanno trovato espressione, nonché con la Carta delle Nazioni Unite.

Non è problema giuridico di poco conto, perché di fatto attiene all’intera struttura costituzionale italiana, ponendo mano in termini per noi inaccettabili (e siamo confortati da amplissimi giudizi della dottrina) alla rigidità della revisione costituzionale ed all’ormai famoso articolo 138 della Costituzione che da alcune parti politiche si tenta di travolgere. Nè varrebbe opporre alle nostre argomentazioni, come maldestramente si è fatto, che vi è una prassi affermatasi nelle prime tappe comunitarie. Infatti, come è ovvio, non può fondarsi una violazione costituzionale su altre precedenti; e l’attuale, poi, sarebbe di ben altro spessore e qualità: supererebbe di gran lunga le pur gravi violazioni del passato.

L’articolo 11 della Costituzione, infatti, parla esplicitamente di «limitazioni» e non di «trasferimenti» di sovranità, e fu storicamente redatto (basta andare a leggere le relazioni alla Costituente) in vista di una struttura internazionale come l’Organizzazione delle nazioni unite e non sovranazionale come le Comunità, che creano incostituzionalmente norme giuridiche valide direttamente in Italia: può riguardare, dunque, solo obblighi esterni, assunti dall’Italia nelle condizioni — tutte da verificare, peraltro — di cui all’articolo 11, e che limitano la tradizionale sovranità statale nei rapporti internazionali, e non certo invece situazioni incidenti direttamente sui poteri degli organi statali, per assegnare poi gli stessi ad organi esterni, cioè quelli comunitari.

Maastricht incide, colleghi, sino alla sottrazione totale (o forte restrizione di sovranità) di poteri a taluni organi, anzitutto al Parlamento. Un primo gravissimo contrasto con la Costituzione è formale ed è costituito dall’alterazione del circuito sovranità popolare-Stato, sancito dall’articolo 1, secondo comma, che recita: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Solo organi italiani, eletti o risultanti dai procedimenti del sistema italiano e secondo le rispettive competenze, esprimono la sovranità del popolo italiano. Ad essi spetta, tra l’altro, la responsabilità di attuare princìpi di base e diritti fondamentali, dall’articolo 2 sino all’articolo 47 della Costituzione.

Un ulteriore contrasto, sostanziale, è che nel quadro comunitario o dell’Unione europea, gli organi esterni — con partecipazione assolutamente preminente degli esecutivi statali — alterano lo schema di fondo della divisione dei poteri, che è alla base del sistema italiano. Salta, per determinanti e sempre più ampi settori, la garanzia della legge e della stessa Costituzione.

Vi sono ancora specifici contrasti con singole norme costituzionali, come la prevista intangibilità dei tassi di cambio, la previsione di una Banca centrale, l’invasione di altre sfere nazionali in base al principio di sussidiarietà, le gravi azioni vincolanti di sicurezza comune, che di fatto prefigurano una gendarmeria europea di pronto intervento che per struttura, armamento, addestramento, filosofia globale, più che a motivi di sicurezza, risponde a princìpi neocoloniali e neomilitaristi, trasformando tutti gli eserciti europei, ed anche il nostro, in guardiani armati del villaggio globale.

In terzo luogo, non dimentichino i colleghi parlamentari che la I e la V Commissione di questo Parlamento hanno subordinato esplicitamente l’approvazione a punti qualificanti sul piano della legittimità costituzionale e del deficit di democrazia, che non possono cadere nel dimenticatoio, facendo finta che non siano stati apposti e votati in Commissione. Avremmo, così, uno strano Parlamento bifronte, dove la destra non sa quello fa la sinistra, dove ciò che si approva in Commissione viene contraddetto dal voto in aula. Attenzione, colleghi: andremmo alla sublimazione del gattopardismo e del trasformismo. Il Parlamento italiano, meno che mai in questo momento storico, può permetterselo, onorevole D’Onofrio. Picconerebbe, annullerebbe, disintegrerebbe se stesso: non mi pare che i picconatori del Parlamento, che sono poteri forti in questo paese, abbiano bisogno di un aiuto autolesionista e suicida in quest’aula.

Mi si permetta, in conclusione, un’ultima considerazione, al di là di quelle di ordine costituzionale: l’unica di merito che vorrei svolgere (in proposito interverranno anche altri compagni). Noi siamo fermamente e duramente contrari al trattato di Maastricht; non già perché siamo contro l’Europa, ma proprio perché vogliamo costruirla davvero, nella democrazia, nella giustizia sociale, in un quadro di rapporti internazionali fra nord e sud diverso da quello attuale. L’attuale trattato, badate colleghi, già non sta reggendo; sicuramente non reggerà alla prova: con ogni probabilità, incentivando recessione, disoccupazione, povertà (e quindi attacchi alla democrazia e nuove spinte di destra) andrà presto in crisi e questa sua crisi produrrà, di qui a qualche anno, molte macerie e grandi mali.

Insomma, colleghi, mi pare non vi sia — e a noi, come gruppo, sembra che non vi sia — motivo alcuno, se non l’affannoso arrancare di Amato dietro ad ogni ancora di salvezza, per non dichiarare l’incostituzionalità del disegno di legge di ratifica del trattato di Maastricht e sospendere questa discussione, che porterebbe ad un’Europa sbagliata, che non piace ai popoli; che porterebbe, quindi, alle macerie d’Europa. Speriamo che perlomeno, questa volta, prevalga il buon senso! (Applausi dei deputati del gruppo di rifondazione comunista).