Il patriottismo dei comunisti – Rinascita (1945)

Quella che segue è la trascrizione integrale di un articolo del 1945 dal titolo “Il patriottismo dei comunisti”, comparso su “Rinascita” il giornale fondato da Palmiro Togliatti.

L’articolo originale si può reperire sul sito della fondazione Gramsci, oppure dal sito di questa biblioteca.

Riporto la trascrizione intergrale, dove vengono raccontate le “impressioni a caldo” al termine della seconda guerra mondiale.

Buona Lettura


C’è un’arma che i nemici della classe operaia, i nemici della democrazia non vogliono rassegnarsi a gettare tra i ferrivecchi della storia e della politica, ed è la secolare accusa di antipatriottismo con la quale i reazionari di tutte le risme hanno sempre tentato di screditare la classe operaia e la sua avanguardia da quando esse si sono presentate sulla scena politica e hanno iniziato la lotta per il rinnovamento della società. Non c’è da stupirsi se oggi ancora, dopo la guerra contro l’oppressione fascista, i reazionari, i conservatori non rinunciano alla speranza di poter ottenere risultati considerevoli dall’impiego di quest’arme insidiosa e pericolosa che è servita nel passato a giustificare le più odiose persecuzioni contro gli operai e in particolare contro socialisti e comunisti.

« Nemici della patria », – ecco l’accusa che tutte le reazioni e specialmente la reazione fascista hanno iscritto sulla loro bandiera di lotta contro la classe operaia, contro le forze progressive e la democrazia. « Le Communisme: voilà l’ennemi » – proclamava un uomo di Stato francese mentre Hitler si preparava a conquistare il potere in Germania. « Antinazionali » così vennero definiti in Italia prima le masse operaie, i comunisti, i socialisti e poi gli antifascisti in genere dal regime che preparava la rovina della Nazione. Ognuno ricorda come questo tema sia stato sviluppato, presentato sotto mille aspetti, doviziosamente corredato di argomenti, nutrito di tutte le menzogne suggerite dalla fertile fantasia della stampa gialla (NDR – scandalistisca) internazionale.

Negli anni che precedettero la guerra, lo sviluppo dello stato sovietico forniva certo una prova incontestabile dell’ardente patriottismo dei comunisti, della loro dedizione alla patria e al suo progresso, ma questa non poteva certo essere una ragione sufficiente per indurre reazionari e fascisti ad abbandonare un’arma che aveva dimostrato una così notevole forza di penetrazione e di espansione. Nella inaudita campagna condotta senza interruzione per venticinque anni contro l’unione sovietica, si trovarono anzi nuovi motivi per accusare i comunisti sovietici di aver rovinato il loro paese e i comunisti delle altre nazioni di essere asserviti a uno Stato straniero. Nelle mani del fascismo, l’accusa di antipatriottismo servì a celare le violenze inumane, le barbare persecuzioni contro le organizzazioni e dirigenti della classe operaia e soprattutto contro i comunisti. Ai complici ai servi, agli alleati del fascismo – ai fautori del non-intervento e della politica di Monaco – non parve vero di potersi servire di questa calunnia per accusare di ipocrisia, se non di tradimento, i comunisti e quei socialisti che lottavano coerentemente contro il fascismo, contro le sue aggressioni e suoi preparativi di guerra.

La storia ha ora messo alla prova, il patriottismo della classe operaia, dei comunisti, dei socialisti e quello dei loro accusatori. L’aggressione hitleriana – la guerra dei fascisti per asservire alla Germania le altre nazioni – ha costretto vari strati sociali e gruppi sociali, i vari partiti politici a dare la misura del loro amor di patria. Gli impostori, gli ipocriti hanno dovuto gettare la maschera. Nel fuoco della battaglia, si sono visti i popoli difendere eroicamente la loro indipendenza nazionale e i loro oppressori tradire vilmente la patria e mettersi al servizio dell’invasore straniero. La prova del fuoco è stata decisiva.

In tutti i paesi d’Europa occupati dai tedeschi, i fascisti e i più accaniti reazionari si sono dimostrati traditori della patria. Erano proprio costoro che in passato e fino all’inizio della guerra pretendevano di essere i più fieri campioni di patriottismo e accusavano i comunisti di essere antinazionalisti. I traditori dell’Italia erano feroci anti-comunisti: Mussolini e la sua cricca, i Donegani, gli Agnelli, i grandi latifondisti e i grandi agrari e la banda dei più voraci profittatori del regime. I traditori della Francia erano feroci anti-comunisti: i Laval, i Pétain e i Doriot, i plutocrati del Comité des Forges, della Schneider-Creusot e degli altri grandi complessi finanziari e industriali francesi. I traditori della Norvegia, della Danimarca, dell’Olanda, del Belgio, della Bulgaria, della Jugoslavia, della Grecia, dell’Austria, ecc. ecc. erano feroci nemici dei comunisti, i fascisti delle varie gradazioni, gli spregevoli quisling (NDR – i politici che collaboravano con l’invasore) di tutte le razze e i banchieri e i latifondisti che li manovravano e li sorreggevano. Quando i tedeschi registravano quotidianamente successi militari, in tutti i paesi da essi occupati cresceva continuamente il numero di reazionari pronti a vendere la patria per avvantaggiare i loro interessi sordidamente egoistici.

Viceversa, i comunisti dimostravano nella lotta di essere difensori indomiti e coraggiosi della libertà e dell’indipendenza del loro paese contro gli invasori tedeschi e i loro satelliti. I popoli liberati sono giustamente presi delle magnifiche battaglie combattute dai partigiani dell’Unione Sovietica, dai patrioti italiani, francesi, jugoslavi, greci, polacchi. E tutti sanno che in queste battaglie i comunisti sono stati in prima fila e che, in molti casi, sono stati gli organizzatori e i combattenti più audaci e tenaci della guerra di liberazione.

Questi fatti incontrovertibili danno una così schiacciante smentita agli anti-comunisti, agli anti-socialisti e alle loro menzognere ideologie che sembrerebbe ormai inutile continuare a discutere per stabilire dove va cercato il patriottismo e dove l’antipatriottismo. Tuttavia i reazionari non vogliono confessare la loro sconfitta ideologica. Per esempio, in America, in Inghilterra e in altri paesi tra i quali è pur necessario iscrivere l’Italia, alcuni vecchi campioni dell’anticomunismo, tentano di risfoderare i loro miserabili argomenti.

Alcuni ragionano, per esempio, a questo modo: « Se è vero che i partiti comunisti hanno preso una posizione patriottica nella guerra contro l’hitlerismo, è per eccezione alla regola poiché l’ideologia comunista non permette ai suoi seguaci di appoggiare tutte le guerre intraprese dalla loro nazione. Dunque in un’altra guerra, i comunisti potrebbero prendere posizioni antipatriottiche e anti-nazionali ».

Da una premessa esatta, si traggono conclusioni del tutto false. È certamente vero che i comunisti non sono disposti ad appoggiare qualsiasi guerra, ma soltanto le guerre giuste, le guerre di liberazione. Ma non è meno vero che soltanto queste guerre sono guerre patriottiche e che le guerre ingiuste, le guerre di aggressione – comunque mascherate e con qualunque pretesto giustificate – non hanno niente a che fare col patriottismo. Anzi, una guerra di aggressione è una sciagura non soltanto per i popoli che la subiscono ma anche per il popolo che la scatena, e se le forze reazionarie trascinano un paese in una guerra di aggressione, è dovere patriottico dei cittadini rifiutare ad essa ogni appoggio e lottare contro di essa. Lo dimostrano gli esempi dell’Italia dove i patrioti sono insorti contro le guerre fasciste, comprese quella di Etiopia e di Spagna, l’esempio della Germania che avrebbe evitato l’estrema rovina se i tedeschi fossero insorti contro la guerra di Hitler, dei paesi satelliti della Germania – Rumenia, Finlandia, Ungheria, Bulgaria – dove al governo sedevano i traditori della patria e dove i comunisti, accusati di tradimento, erano in realtà i difensori degli interessi vitali del paese. Infatti, combattere a fianco di Hitler significava, in caso di vittoria, correre a un disastro irreparabile, incomparabilmente peggiore della più dura sconfitta, correre verso la perdita definitiva dell’indipendenza nazionale. L’esperienza storica ha dunque dimostrato che la posizione dei comunisti è una posizione di chiaroveggente patriottismo. Altri nemici dei lavoratori speculano sulla confusione tra patriottismo e nazionalismo e rimproverano ai comunisti e, in generale, ai democratici sinceri e conseguenti, di non mettere la patria « al di sopra di tutto ». Dietro questo rimprovero si nascondono pericolosi pregiudizi nazionalistici e – spesso – tendenze imperialistiche le quali non hanno nulla di comune col patriottismo.

Nazionalisti e sciovinisti sostengono che l’amor di patria deve giustificare qualunque azione di brigantaggio, qualunque guerra di rapina, qualunque delitto contro il diritto e la libertà delle altre nazioni. È questa una spudorata falsificazione del patriottismo, ed essa non ha nessuna giustificazione storica né politica. Nella storia, nessun movimento patriottico ha mai avuto per scopo attentare alla libertà e ai diritti di altri popoli. Tutti i grandi movimenti patriottici del XVIII e del XIX secolo miravano invece alla liberazione dall’oppressione o dall’intervento straniero. Lottare per la libertà della propria nazione è una cosa; lottare per togliere la libertà agli altri è una cosa del tutto diversa. Per esempio, il possesso delle colonie e il loro sfruttamento non possono essere motivati onestamente con considerazioni patriottiche tanto più che essi non corrispondono agli interessi generali della nazione dominante ma agli interessi particolari di certi gruppi che ritraggono dalle colonie i mezzi per consolidare il loro dominio nel loro paese e per rafforzare le tendenze aggressive della loro politica internazionale, preparando così disastri e sciagure per i popoli.

Assai spesso, i nemici dei lavoratori tentano di contestare il patriottismo dei comunisti e dei socialisti, invocando il loro internazionalismo e presentandolo come una manifestazione di cosmopolitismo, di indifferenza e di disprezzo per la patria. Anche questa è una calunnia. Il comunismo non ha nulla di comune col cosmopolitismo. Lottando sotto la bandiera della solidarietà internazionale dei lavoratori, i comunisti di ogni singolo paese, nella loro qualità di avanguardia delle masse lavoratrici, stanno solidamente sul terreno nazionale. Il comunismo non contrappone, ma accorda e unisce il patriottismo e l’internazionalismo proletario poiché l’uno e l’altro si fondano sul rispetto dei diritti, delle libertà, dell’indipendenza dei singoli popoli. È ridicolo pensare che la classe operaia possa staccarsi, scindersi dalla nazione. La classe operaia moderna è il nerbo delle nazioni, non solo per il suo numero, ma per la sua funzione economica e politica. L’avvenire della nazione riposa innanzi tutto sulle spalle delle classi operaie. I comunisti, che sono il partito della classe operaia, non possono dunque staccarsi dalla loro nazione se non vogliono troncare le loro radici vitali.

Il cosmopolitismo è un’ideologia del tutto estranea alla classe operaia. Esso è invece l’ideologia caratteristica degli uomini della banca internazionale, dei cartelli e dei trusts internazionali, dei grandi speculatori di borsa e dei fabbricanti di armi. Costoro sono i patrioti del loro portafoglio. Essi non soltanto vendono, ma si vendono volentieri al migliore offerente tra gli imperialisti stranieri. Molti di questi eroi della finanza cosmopolita, in Francia come in Italia, come nei paesi anglofoni (per non parlare dei paesi neutrali) si sono dimostrati pronti a rendere qualsiasi servizio agli aggressori hitleriani, a rafforzare la potenza militare di Hitler, a rallentare la produzione bellica nelle Nazioni Unite. Negli Stati Uniti, l’attività antipatriottica di parecchi grandi trust legati coi tedeschi, è stata smascherata, a suo tempo, da una commissione presieduta da Truman. Il cosmopolitismo dei finanzieri internazionali è dunque connesso con la politica antidemocratica del fascismo e porta da sé il pericolo di nuove guerre devastatrici.

A questa politica brigantesca, i lavoratori contrappongono una politica di energia e di unione internazionale. Forse questa politica non coincide in pieno con le aspirazioni patriottiche di ogni popolo? Forse le decisioni della recente conferenza sindacale internazionale non corrispondono agli interessi nazionali, dei popoli di tutti i paesi democratici? Forse il libero sviluppo e la prosperità dei singoli popoli democratici non sono assicurati nel miglior modo possibile da una salda collaborazione tra i paesi democratici per la completa liquidazione del fascismo e per la difesa della pace e della sicurezza? E non è questa la politica al tempo stesso patriottica e di solidarietà internazionale propugnata dai comunisti, oppure dalle classi operaie, dagli intellettuali e dai contadini d’avanguardia?

Si tenta infine di gettare il sospetto sul nostro patriottismo affermando che non si può considerare patriota solo chi è amico dell’Unione Sovietica e si sente solidale con essa, – cioè con uno stato straniero. Ma questa solidarietà non si accorda forse con la posizione dei migliori patrioti di tutti i paesi? Si tratta dell’amicizia e della solidarietà con uno Stato socialista dove il patriottismo ha raggiunto le vette più alte e che, per sua stessa natura, è libero da ogni tendenza imperialista, rispetta e applica il principio dell’uguaglianza dei diritti e dell’autodecisione delle nazioni ed è il difensore e il baluardo della pace. Tutti gli Stati della coalizione anti-hitleriana si pronunciano per una durevole collaborazione con l’U.R.S.S. ai fini della difesa della pace e della sicurezza. C’è dunque da meravigliarsi se i patrioti di ogni nazione sono fermamente convinti di che la collaborazione con l’U.R.S.S. è il modo migliore di difendere la sicurezza e assicurare lo sviluppo delle loro patrie rispettive?

D’altra parte, le tendenze anti-sovietiche non si accordano col patriottismo come ha ripetutamente dimostrato la storia di quest’ultimo quarto di secolo. Invano, per esempio, i satelliti della Germania hanno tentato di dare una maschera patriottica alla loro guerra antisovietica. La maschera è da lungo tempo caduta. Non maggior fortuna ha avuto il pseudo patriottismo dei « monarchici » francesi e inglesi i quali, malgrado gli interessi nazionali dei rispettivi paesi, sabotarono il fronte di resistenza contro gli aggressori tedeschi e tentarono di isolare l’Unione Sovietica additandola come obbiettivo alle mire espansionistiche di Hitler.

Si potrebbe forse stendere un velo di pietoso silenzio su queste cose se non si tentasse di screditare il patriottismo dei comunisti rammentando demagogicamente il loro atteggiamento nei primi mesi di guerra. « Nel 1939 e nel 1940 – si dice – i comunisti non erano molto propensi ad appoggiare la guerra … » Ma perché non aggiungere che nei primi otto mesi di guerra, i governi francese e inglese non svilupparono le operazioni militari contro la Germania e non lavoravano seriamente neppure a rafforzare il potenziale difensivo del loro paesi? Il governo francese si preoccupava invece di perseguitare i comunisti (compresi i comunisti italiani e tedeschi che lottavano con tutte le loro forze contro gli aggressori hitleriani e fascisti) e di accordarsi col governo di Chamberlain per rifornire di armi i reazionari finlandesi in guerra contro l’Unione Sovietica (della qual cosa si occupava attivamente anche il governo Mussolini). E alla riunione del consiglio di guerra anglo-francese del 6 febbraio 1940 Daladier comunicava a Chamberlain che una divisione francese e una polacca erano pronte a partire per la Finlandia.

È chiaro che in quel periodo i governi francese e inglese non sapevano ancora contro chi avrebbero fatto principalmente la guerra. È evidente che in Francia e in Inghilterra i patrioti non potevano entusiasmarsi per una simile guerra. Ma quando la Francia fu invasa, i patrioti francesi – e i comunisti in prima linea – non capitolarono e iniziarono la loro lotta gloriosa contro gli invasori tedeschi. Così l’Inghilterra quando Churchill prese la direzione del governo e diede prova di voler effettivamente combattere contro l’hitlerismo, la solidarietà con l’Unione Sovietica non solo non ha ostacolato, ma ha favorito lo sviluppo del patriottismo fra le grandi masse dei lavoratori.

Si può anzi affermare che lo sviluppo del patriottismo nelle file dei lavoratori coscienti in tutti i paesi, ebbe inizio con la nascita del patriottismo sovietico. Gli operai coscienti di tutti i paesi sentirono allora una forte attrazione verso l’Unione Sovietica e la chiamarono « patria di tutto il mondo ». Nello stesso tempo cominciarono a crescere nel loro petto l’amore per la loro patria, per la terra dove il loro popolo avrebbe potuto conquistarsi un domani migliore.

Questo patriottismo ha dimostrato tutta la sua forza nella gloriosa lotta dei partigiani contro gli invasori tedeschi.

Negli anni della seconda guerra mondiale abbiamo dunque assistito in tutti i paesi a una formidabile rinascita del patriottismo. Questo patriottismo non ha certo cessato di esistere dopo la vittoria sull’hitlerismo, ma continuerà a svilupparsi anche nell’avvenire.

Il movimento patriottico che aveva avuto la sua origine storica nelle rivoluzione della giovane borghesia, si era andato trasformando, nella seconda metà del secolo XIX, nella maggior parte dei paesi capitalistici, in una specie di feticcio, utilizzato dalle classi dirigenti per ingannare le masse. Oggi la rinascita del patriottismo delle masse popolari, rinnova le migliori tradizioni democratiche e progressive dei grandi movimenti patriottici del secolo scorso. Il patriottismo torna a riunire in sé la volontà di lotta contro l’oppressore straniero, la profonda aspirazione democratica e progressiva dei popoli, la protesta contro la soggezione delle masse popolari, contro l’oppressione di classe e contro lo sfruttamento dei lavoratori da parte degli elementi parassitari della società. Ai nostri giorni non può esservi effettivo patriottismo che non abbia un netto carattere antifascista e anti-imperialista, e non persegua la distruzione delle ultime vestigie del fascismo e del nazismo.

Il patriottismo dei nostri giorni è una dura lotta per il libero e felice avvenire del proprio popolo. Numerosi paesi hanno offerto, durante l’occupazione tedesca grandi esempi di eroismo civile, di nobile fierezza sia da parte degli operai, che da parte degli intellettuali e dei contadini. È naturale che i comunisti, animati da un ideale di liberazione nazionale e sociale abbiano preso il loro posto nella prime file di questo movimento patriottico. Ed è naturale che le masse popolari diano ai partiti comunisti, in Francia come in Italia, in Jugoslavia come in Romania, in Polonia come in Finlandia o in Bulgaria, un così vasto e fiducioso appoggio nella lotta per la democrazia, per la pacifica collaborazione fra i popoli, per l’indipendenza nazionale di tutti i paesi e per assicurare al popolo che lavora una vita migliore.