“La ratifica di Maastricht è un atto di grave irresponabilità” – Gennaro Lopez (17 settembre 1992)

Questo è il primo di una serie di articoli che riporteranno i discorsi integrali fatti, alla Camera e al Senato, quando si discuteva riguardo la ratifica del trattato di Maastricht

Ora andremo a leggere il discorso del senatore Gennaro Lopez (che risulta ancora vivo) di Rifondazione Comunista.

Sull’archivio di Radio Radicale è disponibile anche l’audio originale dell’intera seduta di giovedi 17 settembre 1992.

La trascrizione è presa dal resoconto stenografico del Senato di quel giorno, a pagina 149 di questo link.

Buona lettura e/o ascolto


FONTE: Senato – Archivio XI Legislatura

LOPEZ. Signor Presidente, ho troppo rispetto per il Parlamento e per la materia che è qui in discussione per liquidare il tutto con poche battute che pure, vedo, raccolgono il consenso dei colleghi ansiosi di ritornare a casa; ritengo che rispetto all’entità dell’atto che stiamo per varare sia consentito almeno spendere dieci minuti per una dichiarazione di voto.

Signor Presidente, colleghi, la provinciale presunzione di influenzare gli orientamenti dell’elettorato francese chiamato a pronunciarsi sul Trattato di Maastricht ha portato il Senato a discutere di questo atto, gravido di implicazioni e di conseguenze per l’Italia e per l’Europa … (Brusio in Aula. Richiami del Presidente). Signor Presidente, vorrei parlare nel silenzio dell’Aula.

Abbiamo discusso di questo Trattato in modo improvvisato e superficiale. I pareri delle Commissioni sono stati espressi attraverso riunioni tenute nei ritagli di tempo, senza possibilità di seri e necessari approfondimenti. Funzionale a questa corsa cieca ed irrazionale all’approvazione del Trattato, è stata una ben orchestrata campagna dei mass-media fondata sul seguente assioma: chi è contro Maastricht, è contro l’Europa. E poiché l’Europa è diventata nel nostro paese come la mamma – guai a parlarne male -, chi contesta questo Trattato è stato oggetto o di rappresentazioni caricaturali, come quelle di cui ci ha gentilmente gratificato il senatore Forte, o di considerazioni liquidatorie e sprezzanti.

Neppure la gravità degli avvenimenti di queste ore ha potuto indurre la maggioranza dei colleghi presenti in Aula ad un atteggiamento di maggior prudenza e cautela. Eppure questi avvenimenti non sono a sé stanti rispetto agli stessi contenuti del Trattato di Maastricht. «L’unione che si sta costruendo è un luogo di irresponsabilità, destinato a spogliare gli Stati a vantaggio delle forze di mercato»: non è una mia affermazione, è quanto è stato detto da Edgard Pisani, ex ministro socialista francese ed ex commissario a Bruxelles.

In effetti, l’applicazione del Trattato sottrarrà agli stessi Governi ogni controllo sulle politiche economiche e sociali, per affidarle ad un consesso di banchieri: non dunque un trasferimento di sovranità dal livello nazionale a quello europeo, ma un trasferimento del potere legislativo ad un Esecutivo che, di fatto, risponderà solo a se stesso.

Dovrebbero essere gli stessi drammatici fatti di queste ore, con l’uscita dallo SME della sterlina inglese e, di fatto, anche della lira italiana, a farci dire che l’Europa di Maastricht è già morta, che questo Trattato può essere collocato tranquillamente negli archivi e che un minimo di serietà imporrebbe un ripensamento complessivo e dunque la riapertura immediata di un tavolo di trattativa in cui, partendo da una analisi realistica della situazione, si ridiscuta l’intero pacchetto di Maastricht.

La nostra tesi è questa: l’attuazione del Trattato porterà seri danni alla costruzione europea. Infatti, integrare la Comunità attraverso le monete non può che portare alla sua disintegrazione. L’isolamento della nostra posizione in quest’Aula non corrisponde, peraltro, agli ampi schieramenti che sul no a Maastricht si stanno via via rafforzando in Italia e in Europa.

Ha detto autorevolmente Ralf Dahrendorf, che i colleghi del PDS dovrebbero ben conoscere: «Penso che Maastricht sia stata una prova di non grande intelligenza, un insieme di trattati prodotti da anziane persone che sono alla fine delle loro carriere politiche e che cercano l’Europa nello specchio retrovisore». Non a caso, abbiamo sentito il ministro Colombo affermare questa mattina che le radici del Trattato possono farsi risalire ad uno studio degli anni 1970-1971. (1)

(1) Il riferimento del ministro era al Piano Werner, la dichiarazione è a pagina 50 della stessa seduta.

Ha davvero del paradossale che nel corso del nostro dibattito gli unici riferimenti alla concezione dell’Europa contenuta nel magistero di Giovanni Paolo II siano venuti dalla nostra parte politica. È il segnale che gli stessi colleghi cattolici hanno difficoltà a collegare il Trattato ad una visione forte ed aggiornata dell’Europa. La verità è che gli avvenimenti del biennio 1989-1991, certamente anche a causa della loro straordinaria celerità, hanno trovato tutti – noi compresi – incapaci di abbandonare con la stessa celerità dei fatti una vecchia concezione dell’Europa, vecchi schemi legati all’epoca dei blocchi contrapposti. Agli improvvisati cantori di un nuovo ordine mondiale dico che, anziché cantare, sarebbe opportuno riflettere, studiare, costruire una nuova idea laica e all’altezza dei tempi dell’Europa.

Si è parlato molto di deficit di democrazia a proposito di questo Trattato. La nostra opinione è che quel deficit ne nasconde uno ben più grave e profondo, un deficit di politica, di cultura, di nuovo umanesimo europeo. Del tutto ovvio che in questo vuoto si facciano spazio posizioni tecnocratiche, dirigistiche, anti o a democratiche. Non so se De Gasperi, Monnet, Schumann e Spaak avrebbero approvato questo Trattato. So però per certo che la nostra esigenza sarebbe oggi quella di recuperare le radici del «manifesto di Ventotene», di rivisitare il pensiero di Altiero Spinelli, di rifondare il pensiero europeista adeguandolo alla nuova realtà dell’Europa e del mondo.

Si è o no riaperta una questione tedesca nel cuore stesso del nostro continente? E come ignorare che siamo in presenza di una Germania il cui prodotto interno lordo è quasi pari alla somma di quelli francese e inglese? Non è dunque una forzatura dire che la politica economica dell’Unione europea sarà determinata dalla Bundesbank.

Per un’Europa senza egemonie occorrerebbe agevolare il più possibile l’adesione di nuovi Stati, occorrerebbe costruire istituzioni democratiche e non tecnocratiche, in cui tutti gli Stati membri potessero essere rappresentati con pari dignità. Ma con il Trattato di Maastricht si va in direzione esattamente opposta.

E come si affronta, inoltre, il problema sempre più attuale e drammatico dei rapporti tra Europa e Sud del mondo, tra Europa, Africa e Medio Oriente? Il Trattato lascia queste domande senza risposta.

Se vuole evitare il naufragio, l’Europa ha bisogno oggi di più democrazia. Questo Trattato invece restringe gli spazi di democrazia. E a questo proposito ho sentito in quest’Aula esaltare da parte di qualcuno – da ultimo il senatore Riz – quel principio di sussidiarietà che è un po’ l’anima di tutto il Trattato. Si tratta in realtà di un principio sconosciuto sia al diritto pubblico sia a quello internazionale. È in realtà un principio ecclesiastico, credo formulato per primo da Tommaso D’Aquino per definire l’organizzazione della Chiesa cattolica romana su basi rigorosamente gerarchiche. Possiamo dunque essere certi che il papa dell’unione europea avrà la sua sede a Bonn o a Berlino.

Signor Presidente e colleghi, la ratifica del Trattato di Maastricht, nelle attuali condizioni economiche e finanziarie italiane, è un atto – noi crediamo – di grave irresponsabilità, Il problema non è se stare o no in Europa: in Europa già ci siamo e nessuno – tanto meno noi comunisti – pensa di tirarsi indietro. Il problema è che il Trattato impone impegni irrealizzabili, come quelli qui ricordati dal senatore Libertini. L’impegno di riportare nel giro di 4 anni l’incidenza del disavanzo pubblico sul PIL dall’attuale 10,3 per cento al 3,3 per cento (2), di ridurre il debito pubblico di 700.000 miliardi, di irrigidire la parità dei cambi.

(2) il dato corretto è il 3% deficit/PIL, sotto la linea blu indica l’andamento del disavanzo pubblico.

FONTE: elaborazione su dati Banca d’Italia

Il Governo ha voluto che questo nostro dibattito continuasse fino al voto finale, pur in presenza dei fatti nuovi e gravissimi, verificatisi sui mercati, che avrebbero reso opportuna una pausa di riflessione. Non c’è persona ragionevole che oggi non veda la necessità di rinegoziare l’intero Trattato, a cominciare dalle sue clausole economiche. I senatori comunisti votano dunque, coerentemente con le loro critiche, contro la ratifica del Trattato. Siamo per un’Europa nuova, democratica, fatta di cittadini europei e non di banchieri e tecnocrati.

Il nostro no al Trattato equivale dunque ad un sì all’Europa, l’Europa dei popoli e delle nuove frontiere di libertà, democrazia e giustizia sociale che dovranno caratterizzare il futuro di questo nostro grande e amato continente. (Vivi applausi dal Gruppo di Rifondazione comunista. Congratulazioni).