Il divorzio Banca d’Italia Tesoro: le considerazioni di Draghi e Ciampi nel 2011

Nel precedente articolo avevamo visto il testo delle due lettere che hanno dato il via al “divorzio“, in questo articolo vedremo le considerazioni, col senno di poi, del diretto interessato Ciampi e di Mario Draghi che nel 2011 terminava il suo mandato da governatore della Banca d’Italia.

Per la ricorrenza dei trent’anni dalla lettera del 12 febbraio 1981 che il Ministro del Tesoro, Nino Andreatta, scrisse al Governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, ha spinto l’Arel, l’Agenzia di ricerche e legislazione fondata dallo stesso Andreatta, a organizzare il 15 febbraio 2011 un convegno chiamato “L’autonomia della politica monetaria“, la cui versione integrale è disponibile su Radio Radicale.

Buon ascolto e/o lettura.

LA TESTIMONIANZA DI CIAMPI

FONTE: sito personale di Ciampi

L’allora senatore a vita non era fisicamente presente all’evento, ma aveva mandato una lettera che viene letta durante la conferenza (dal min 21:09), che è stata riportata sia sul sito personale di Ciampi, sia sul Sole 24 Ore.

Riporto il testo completo:


« Ho accettato ben volentieri l’invito di Enrico Letta a ricordare le vicende del 1980/81 che portarono Beniamino Andreatta e me a stipulare quello che è passato alla storia come il “divorzio” tra Tesoro e Banca d’Italia.

Sulle qualità di Andreatta, come uomo di studio e di lungimirante impegno civile, mi sono già espresso altre volte, segnatamente in occasione della giornata di studio promossa dall’allora Ministro dell’Economia e delle finanze, Tommaso Padoa-Schioppa, il 13 febbraio 2008.

Agli inizi degli anni ‘80, l’Italia viveva la seconda crisi petrolifera; il livello dei prezzi segnava un tasso annuo superiore al 20 per cento. Da quasi dieci anni l’Italia conviveva con un’inflazione a due cifre, che non ci doveva abbandonare per altri cinque anni.

FONTE: elaborazione su dati OCSE

All’assemblea della Banca d’Italia del maggio 1981, interpretando l’anima dell’Istituto che mi era stato da poco affidato, indicai tre condizioni per restituire al Paese stabilità monetaria: una politica dei redditi volta alla disinflazione; una banca centrale completamente indipendente; il pieno controllo del bilancio pubblico e della conseguente creazione monetaria.

Vorrei richiamare, per sommi capi, le tre condizioni che enunciai allora:

“Il ritorno a un moneta stabile richiede un vero cambiamento di costituzione monetaria, che coinvolge la funzione della banca centrale, le procedure per le decisioni di spesa pubblica e quelle per la distribuzione del reddito.

Prima condizione è che il potere della creazione della moneta si eserciti in completa autonomia dai centri in cui si decide la spesa …. Oggi quella condizione deve essere soddisfatta soprattutto nei confronti del settore pubblico, liberando la banca centrale da una condizione che permette ai disavanzi di cassa di sollecitare una larghezza di creazione di liquidità non coerente con gli obiettivi di crescita della moneta. Ciò impone il riesame dei modi attraverso i quali, nel nostro ordinamento, l’istituto di emissione finanzia il Tesoro: lo scoperto del conto corrente di tesoreria, la pratica dell’acquisto residuale dei buoni ordinari alle aste, la sottoscrizione di altri titoli emessi dallo Stato. In particolare è urgente che cessi l’assunzione da parte della Banca d’Italia dei BOT non aggiudicati alle aste…..”

Seconda condizione sono regole di procedura che collochino le grandi decisioni di spesa nella prospettiva dell’equilibrio monetario… Alle decisioni di spesa pubblica bisogna dare regole che costringano al rispetto sostanziale dell’obbligo di copertura … Occorre ricercare e definire solennemente forme, quali ad esempio l’obbligo del pareggio fra le entrate e le uscite correnti, con le quali dare concreta attuazione al principio enunciato nella Costituzione

Terza condizione: occorre ricercare e definire forme istituzionali attraverso le quali la negoziazione collettiva ritorni ad essere strumento di governo della dinamica dei redditi e della condizione del lavoro anziché di distruzione della moneta …

Autonomia della banca centrale, rafforzamento delle procedure di bilancio, codice della contrattazione collettiva sono presupposti del ritorno a una moneta stabile.”

Nel nostro paese, nello scorcio degli anni settanta e all’inizio degli anni ottanta la creazione di “moneta di banca centrale” – la moneta ad alto potenziale che stava alla base della piramide della creazione della moneta e del credito – avveniva principalmente attraverso il canale del Tesoro (gli altri due essendo le banche e l’estero): questo per effetto di una convenzione, non in forza di un obbligo di legge, che faceva sì che la Banca agisse da acquirente residuale di tutti i BOT emessi dal Tesoro, al tasso di interesse deciso dallo stesso Tesoro.

Il Governatore Baffi, nelle Considerazioni finali del 1976 spiegò che la Banca aveva creduto di “accettare la validità di una ragione economica storica più cogente della pur profonda convinzione di quanto sia effimero e dispersivo il sostegno dell’occupazione e del reddito affidato all’inflazione”.

In effetti, la creazione monetaria operata per il tramite del canale Tesoro agiva come un potente volano di svilimento del valore, interno ed esterno, del valore della moneta, attraverso una costante creazione del combustibile – la “base monetaria” – che alimentava i processi inflazionistici.

In quelle difficili condizioni, l’azione della Banca centrale nel controllo dei flussi monetari e finanziari si traduceva in un continuo sforzo di assorbire (“mop up”, si diceva allora) la liquidità in eccesso, principalmente attraverso operazioni di mercato aperto.

Ricordiamo inoltre che, per un’economia di trasformazione quale quella italiana, caratterizzata da un elevato grado di apertura sull’estero, la presenza di un’elevata liquidità sul mercato interno facilmente si traduceva in tensioni sul cambio e sul tasso di inflazione importata.

Aggiungasi che il nostro sistema di determinazione delle retribuzioni, pubbliche e private, era fortemente indicizzato. Ben pochi mettevano in dubbio il sistema delle indicizzazioni al 100 per cento, effetto della scala mobile conseguente agli accordi fra le parti sociali del 1975.

All’estero, ciò consolidava l’immagine di una economia italiana caratterizzata da una congenita propensione all’inflazione.

Andreatta e io eravamo convinti che fosse indispensabile ridare autonomia alla politica monetaria; di qui l’idea di modificare la prassi introdotta nel 1976 secondo la quale la Banca d’Italia agiva da acquirente residuale dei titoli invenduti in asta.

Nell’autunno del 1980 avemmo con Andreatta lunghi colloqui sull’argomento. Trent’anni fa, proprio di questi giorni, sulla base di uno studio condotto da un gruppo di lavoro congiunto Tesoro-Banca d’Italia, ci scambiammo, con Andreatta, alcune lettere con le quali si poneva termine al meccanismo automatico di acquisto residuale; l’accordo si perfezionò nel luglio del 1981.

La riconquistata autonomia della Banca centrale riduceva il finanziamento agevolato della spesa pubblica, cosicché il tasso d’interesse poteva riprendere il suo ruolo chiave di determinazione delle condizioni di equilibrio nel mercato monetario e finanziario.

Con l’adesione alla moneta unica quel cammino è stato portato a compimento. Soprattutto, la società civile ha maturato una nuova mentalità, centrata sulla stabilità quale condizione essenziale per un maggiore benessere economico e sociale. Ciò rese l’Italia degna di partecipare fin da subito alla moneta unica. »


IL DISCORSO DI DRAGHI

Adesso l’intervento del governatore in carica Mario Draghi, oltre al video (sotto l’estratto) c’è pure la trascrizione.

« Il 12 febbraio 1981, trenta anni fa, il Ministro del Tesoro Beniamino Andreatta scrive al Governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi la lettera che avvia il cosiddetto “divorzio” tra le due istituzioni. La politica monetaria in Italia cambia corso.

All’inizio degli anni Ottanta il quadro macroeconomico internazionale sta rapidamente cambiando. Il secondo shock petrolifero ha causato in tutti i paesi sviluppati una nuova fiammata inflazionistica.

I guasti e i pericoli di un’alta inflazione sono tornati all’attenzione delle opinioni pubbliche.

Si ravviva il dibattito intorno alla natura e allo status istituzionale delle banche centrali: quanto è importante la loro indipendenza funzionale (instrument independence)? Quanto è importante che esse fissino la stabilità dei prezzi come obiettivo prevalente?

Negli Stati Uniti Paul Volcker, succeduto nel 1979 ad Arthur Burns come chairman del Board of Governors del Sistema della Riserva federale, imprime subito un radicale cambio di rotta alla gestione monetaria, con l’obiettivo esplicito di “taking on inflation”. In tutti i principali paesi avanzati le politiche monetarie si fanno restrittive.

In Italia, l’inflazione supera il 20 per cento nel 1980. Il meccanismo di indicizzazione dei salari ai prezzi, introdotto dall’accordo del 1975 tra Confindustria e sindacati confederali, amplifica a dismisura l’impatto degli shock provenienti dai prezzi internazionali.

Gli squilibri di fondo della finanza pubblica accumulati nel decennio precedente continuano ad aggravarsi: il fabbisogno del settore statale raggiunge l’11 per cento del prodotto.

FONTE: Banca d’Italia – Rapporto annuale sul 1992 (pag 131)

Nel nostro paese il concetto di indipendenza della Banca centrale è in quegli anni debole, sfumato. La riflessione degli economisti italiani sul ruolo della moneta, con poche significative eccezioni, è limitata; essa si concentra piuttosto sui temi dello sviluppo, dell’industrializzazione, del conflitto sociale e distributivo.

Il governatore Baffi è giunto a dolersi esplicitamente dell’assenza di un chiaro obiettivo di tutela della stabilità dei prezzi che sia affidato alla Banca d’Italia dalla legge, come accade alle banche centrali di altri paesi, in primis la Bundesbank (1).

(1) P. Baffi, Considerazioni finali sul 1975, Banca d’Italia, p. 441.

Benché goda di riconosciuta autorevolezza, la Banca d’Italia ha in quel tempo scarsa autonomia nel controllo della base monetaria e nella fissazione dei tassi di interesse a breve termine; il contrasto dell’inflazione e la difesa del tasso di cambio ne sono resi difficoltosi; i tassi di interesse reali sono da tempo negativi.

In occasione della riforma del mercato dei Bot nel 1975 la Banca si è impegnata ad acquistare alle aste tutti i titoli non collocati presso il pubblico, finanziando quindi gli ampi disavanzi del Tesoro con emissione di base monetaria.

Non solo: il Tesoro può attingere a un’apertura di credito di conto corrente presso la Banca per il 14 per cento delle spese iscritte in bilancio; detiene il potere formale di modificare il tasso di sconto (sia pure su proposta del governatore).

In queste condizioni l’adesione italiana al Sistema monetario europeo, in vigore dal marzo del 1979 e di cui Andreatta è stato uno dei principali propugnatori, rischia di decadere ad “atto velleitario” (2), per la difficoltà di rendere le politiche economiche interne coerenti con quel vincolo.

(2) C. A. Ciampi, Considerazioni Finali sul 1979, Banca d’Italia, p. 393

Un forte riallineamento delle parità centrali nello SME, che avrebbe gettato benzina sul fuoco dell’inflazione, viene sventato nel 1980 grazie a una restrizione monetaria assai controversa nel dibattito pubblico; non può essere evitato nel marzo del 1981.

FONTE: Banca d’Italia – appendice rapporto annuale 1980 (pag 155)

In Banca d’Italia si fa strada in quegli anni una convinzione, espressa dal governatore Ciampi in un noto passaggio delle Considerazioni Finali lette nel maggio 1981.

La convinzione è che il ritorno a una moneta stabile richieda una “costituzione monetaria”, fondata sui tre pilastri della indipendenza del potere di creare moneta da chi determina la spesa pubblica, di procedure di spesa rispettose del vincolo di bilancio, di una dinamica salariale coerente con la stabilità dei prezzi (3).

(3) C. A. Ciampi, Considerazioni Finali sul 1980, Banca d’Italia, p. 384.

Una idea del genere, oggi sedimentata nella cultura economica generale, è coltivata negli anni Settanta solo da pochi economisti. Già alla fine di gennaio 1976, nei giorni concitati di una crisi della lira che porta alla chiusura del mercato italiano dei cambi, durante uno scambio di opinioni con i vertici della Banca d’Italia il Prof. Andreatta esprime il parere che occorra “una ferma dichiarazione di indipendenza della banca centrale dal Tesoro”, in modo che essa sia messa in grado di dichiarare un suo obiettivo di espansione della moneta (4); di fronte alle drammatiche difficoltà dell’economia italiana, prefigura già allora un’idea che riprenderà da Ministro del Tesoro: che la funzione della Banca d’Italia come banca del Tesoro non debba interferire con quella di regolatore della liquidità monetaria.

(4) Cit. in E. Gaiotti e S. Rossi, “La politica monetaria italiana nella svolta degli anni Ottanta”, in Gli anni Ottanta come storia, a cura di S. Colarizi, P. Craveri, P. Pons, G. Quagliariello, Rubbettino, 2004.

Quando Beniamino Andreatta assume la responsabilità del ministero del Tesoro, nell’ottobre 1980, la spirale prezzi-salari è avviata. Va, nelle parole del ministro, “cambiato il regime della politica economica”.

Ma il clima politico non è favorevole: la stessa compagine di governo è “ossessionata dall’ideologia della crescita a ogni costo, sostenuta da bassi tassi di interesse reali e da un cambio debole” (5).

(5) B. Andreatta, “1981: un divorzio per tutte le stagioni”, Il Sole 24 Ore, 26 luglio 1991.

La decisione di “cambiare regime” non viene pertanto sottoposta al Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio per un’approvazione formale; assume la forma di un semplice scambio di lettere fra ministro e governatore; a consentirlo, secondo i legali del ministero, è il fatto che la revisione delle disposizioni date alla Banca d’Italia rientra nella competenza esclusiva del ministro.

Con la sua lettera, il ministro chiede il “parere” del governatore sull’ipotesi di una modifica del regime esistente, con l’obiettivo esplicito di porre rimedio all’insufficiente autonomia della Banca nei confronti del Tesoro (6).

(6) Lettera del ministro Andreatta al governatore Ciampi del 12 febbraio 1981, riprodotta in M. Fratianni, F. Spinelli, Storia monetaria d’Italia: lira e politica monetaria dall’Unità all’Unione Europea, Etas, 2001.

Il governatore, nella sua risposta, concorda sulla necessità che la Banca risponda unicamente a obiettivi di politica monetaria nel regolare il finanziamento al Tesoro; prefigura inoltre, per il futuro, l’intenzione della Banca di procedere alla predisposizione e alla comunicazione al mercato di obiettivi quantitativi di crescita della base monetaria, passo decisivo verso un cambiamento di strategia monetaria (7).

(7) Lettera del governatore Ciampi al ministro Andreatta del 6 marzo 1981, ASBI, Banca d’Italia, “Direttorio Ciampi”, cont. 69, fasc. 1.

È divorzio, consensuale. Il nuovo regime viene avviato nel luglio del 1981. La riforma non è completa: alle aste dei Bot il Tesoro continuerà a fissare un tetto massimo ai rendimenti (il “tasso base”) fino al 1988-89; fino al 1994 la Banca d’Italia continuerà a intervenire discrezionalmente in asta e fino a quell’anno rimarrà anche in essere il finanziamento automatico del Tesoro tramite il conto corrente presso la Banca.

Nonostante questi evidenti limiti, il nuovo regime ha effetti di grande portata. Un test importante giunge alla fine del 1982. Il fabbisogno del Tesoro stenta a trovare copertura sul mercato; occorrerebbe far salire i tassi base, il Tesoro nicchia; la Banca non acquista in asta i titoli di Stato non collocati e costringe il Governo a investire della questione il Parlamento, facendosi approvare un’anticipazione straordinaria della Banca.

Dopo il “divorzio” i tassi di interesse reali tornano stabilmente su livelli, positivi, compatibili con il progressivo rientro dell’inflazione e con la permanenza nello SME; il fabbisogno pubblico viene finanziato pressoché per intero sul mercato senza creazione di base monetaria; inizia da parte della Banca d’Italia la pratica di annunciare obiettivi di espansione della moneta.

La decisione di Andreatta e Ciampi, pur rivestita di panni “tecnici”, ha forti effetti politici di lungo periodo. Il ministro e il governatore ne sono consapevoli. Nelle stesse parole di Andreatta, il divorzio nasce come “congiura aperta” tra i due, nel presupposto che a cose fatte, sia poi troppo costoso tornare indietro (8).

(8) B. Andreatta, cit

Una volta compiuto il “fatto”, le reazioni sono ostili. Gli scettici ritengono la misura destinata a vita breve. Sono contrari ampi settori della maggioranza di governo, dell’opposizione, del sistema bancario, tutti timorosi del rialzo dei tassi di interesse reali (9).

(9) M.T. Salvemini, L’indipendenza della banca centrale e il divorzio, in Andreatta economista, a cura di S. Rossi e A. Gigliobianco, Il Mulino, 2009.

Viene agitato lo spettro della deindustrializzazione del Paese.

Ma la riconquista dell’autonomia da parte della banca centrale si rivela duratura; permette di riportare la crescita dei prezzi sotto controllo senza soffocare l’apparato industriale, come sarà più avanti rivendicato da Ciampi (10).

(10) C. A. Ciampi, Considerazioni Finali sul 1986, p. 340.

Tra il 1980 e il 1987 l’inflazione cade da oltre il 21 per cento a meno del 5; il prodotto interno lordo torna a crescere del 3 per cento l’anno, in media, fra il 1984 e il 1988.

FONTE: elaborazione su dati OCSE

Il “divorzio” apre una stagione di grandi cambiamenti nella gestione degli strumenti di politica monetaria, in direzione di una piena indipendenza funzionale della banca centrale e di un più efficiente funzionamento dei mercati finanziari; vengono tra l’altro abbandonati i controlli amministrativi sul credito.

La riduzione dell’inflazione prosegue negli anni Novanta, passaggio essenziale per consentire la nostra tempestiva partecipazione all’Unione Economica e Monetaria in Europa.

Gli effetti del “divorzio” sulla politica di bilancio non sono invece quelli sperati. Chi si è augurato che un atteggiamento non accomodante della banca centrale nel finanziare con moneta il disavanzo induca comportamenti di spesa più responsabili resta deluso. Manca una modifica radicale delle procedure e delle prassi, elemento essenziale della nuova costituzione monetaria invocata da Ciampi.

Dopo dieci anni dal divorzio il fabbisogno annuo del settore statale si colloca ancora tra il 10 e l’11 per cento del Pil; il rapporto tra debito pubblico e prodotto supera il 120 per cento del prodotto nel 1994.

FONTE: elaborazione su dati Banca d’Italia

Per un miglioramento sostanziale della finanza pubblica si devono attendere gli anni Novanta e la corsa affannosa a rientrare nei criteri per l’ammissione all’area nell’euro con il primo gruppo di paesi.

Come ha sostenuto alla fine degli anni Ottanta Tommaso Padoa-Schioppa, la gestione responsabile della moneta è essenziale, ma da sola non basta a curare tutti i mali di un’economia con la finanza pubblica in disordine; la scelta per la stabilità appartiene alla società nel suo complesso, non alla sola banca centrale (11)

(11) T. Padoa Schioppa, “Reshaping monetary policy”, in R. Dornbush, S. Fischer and J. Bossons, Essays in honor of Franco Modigliani, Cambridge, MIT Press, 1987.

Le idee che hanno portato alla unificazione monetaria d’Europa, che ne sono oggi il fondamento, si sono affermate in tutti i paesi avanzati all’inizio degli anni Ottanta: indipendenza delle banche centrali, obiettivo di assicurare la stabilità dei prezzi, divieto di finanziamento monetario dei disavanzi pubblici.

FONTE: elaborazione su dati Banca d’Italia – la linea blu è il disavanzo (o deficit)

Andreatta e Ciampi hanno colto e applicato quelle idee con straordinaria tempestività.

Conviene sempre rammentare quanto a fondo la moneta comune europea abbia piantato il seme della stabilità monetaria nei nostri paesi. La credibilità della politica monetaria, che l’Eurosistema ha ereditato dalle migliori tradizioni delle banche centrali partecipanti, ha rafforzato la resistenza delle economie dei paesi dell’area di fronte a shock avversi.

Durante l’ultima crisi l’ancoraggio delle aspettative d’inflazione nell’area dell’euro ha concesso un ampio spazio di manovra alla politica monetaria, per garantire il funzionamento dei mercati, per sostenere il credito ed evitare il tracollo dell’economia.

I tassi di mercato monetario sono scesi su valori senza precedenti, vicini allo zero, sono state adottate misure eccezionali di creazione di liquidità, senza muovere le aspettative di inflazione nel medio-lungo termine. Non si è ripetuto lo stop and go di politica monetaria tipico degli anni Settanta. La credibilità che abbiamo raggiunto va salvaguardata, mantenendo alta la guardia.

È un insegnamento dell’esperienza degli anni Ottanta anche il principio, irrinunciabile per la costruzione europea, che politiche fiscali sostenibili sono fondamento essenziale di una unione monetaria. A questo intendeva rispondere il Patto di Stabilità e Crescita.

Tuttavia, si è a volte preferito piegare le regole anziché aggiustare le politiche, annacquando il Patto o violandone lettera e spirito. Molti paesi membri hanno affrontato la crisi globale con livelli già elevati del debito pubblico. I problemi di finanza pubblica avevano origine anche da squilibri strutturali, a cui era stata prestata un’attenzione insufficiente.

Oggi come negli anni Ottanta, la politica monetaria non può essere considerata un rimedio alla irresponsabilità di altre politiche. La costruzione europea deve essere resa ancora più resistente.

Le istituzioni europee stanno lavorando nella giusta direzione, sui tre fronti dove i progressi sono più necessari: regole di coordinamento fiscale più stringenti e meno soggette a discrezionalità nell’applicazione; un meccanismo di sorveglianza macroeconomica tra i paesi dell’area che consenta gli interventi strutturali necessari a rimuovere gli squilibri e a promuovere la crescita; meccanismi robusti di gestione delle crisi e di supporto finanziario, nell’ambito di una chiara condizionalità.

È possibile, è necessario completare la costruzione europea guardando avanti.


RICAPITOLANDO

Il divorzio fu la conseguenza di essere entrati nello SME, dal divorzio si sono gettate le basi sia della futura moneta unica europea, sia del fallimentare modello economico (per il 99% della popolazione) in cui viviamo, quello neoliberista.

Il tutto per una interpretazione errata di quello che fu una shock esterno. L’Italia aveva un’inflazione più elevata, rispetto agli altri Paesi, per la crescita delle retribuzioni e lo sviluppo della domanda interna (ebbene si anche questo contribuisce alla crescita dei prezzi).

Per finire vale la pena analizzare un altro passaggio delle conclusioni di Ciampi, sempre dal già citato rapporto Banca d’Italia sul 1980, ma è solo per stomaci forti:

FONTE: Conclusioni del governatore sul 1980 (Pag 40)

Nei momenti di maggiore accelerazione del moto inflazionistico si è creduto di trovare un surrogato della stabilità nel ricorso all’indicizzazione; è proprio il suo diffondersi che sanziona e consolida la rovina della moneta.

La stabilità monetaria è un bene troppo prezioso e troppo fragile perché il fronte che lo difende possa essere indebolito assicurando a individui o a gruppi il salvacondotto di una protezione automatica, soprattutto quando essa sia frequente e indifferente all’origine degli impulsi inflazionistici.

Nel paese della Comunità (NDR – Germania) che più di ogni altro ha saputo, in questi anni, mantenere stabili i prezzi, è sancito il divieto esplicito di ogni forma di indicizzazione, non solo nei contratti collettivi, ma anche nella forma di clausole che in contratti individuali aggancino a un qualsiasi indice le obbligazioni pecuniarie delle parti. Nello stesso paese quella stabilità, affermata e difesa, si esprime anche nella facoltà di muovere liberamente la moneta oltre i confini.

Autonomia della banca centrale, rafforzamento delle procedure di bilancio, codice della contrattazione collettiva sono presupposti del ritorno a una moneta stabile.

Ormai da dieci anni, rescisso anche il legame indiretto all’oro attraverso la convertibilità del dollaro e la fissità dei cambi, la lira, come le altre monete, è divenuta un bene ancor più immateriale e astratto, garantito nel suo valore da null’altro che dalla forza dell’economia e dalla capacità del corpo sociale di organizzarsi e di governare.

Uno statuto della moneta è indispensabile per la riconquista di un metro stabile di tutti i beni presenti e futuri e per garantirci dal rischio di ricadere verso assetti che non ci hanno aiutato a combattere l’inflazione, quando non l’hanno rafforzata.

Insomma Ciampi prendeva atto che tutti i soldi del mondo sono come quelli del monopoli, era ossessionato della stabilità monetaria che, come avete visto, è solo una “pippa mentale” in quanto la moneta è un concetto virtuale.