Eurozona o zona di guerra? Ecco perché bisogna tornare alla Lira

Già prima del coronavirus l’Italia aveva un’economia di guerra. Sono 18 anni che gli italiani che gli italiani hanno in tasca l’euro, è tempo di tracciarne il bilancio.

Con questo articolo diamo un’occhiata ad una serie di grafici, presi da fonti ufficiali, per dimostrare quanto – negli ultimi 20 anni – gli italiani sono stati saccheggiati in termini di risparmio, reddito, PIL e così via.

Cominciamo

RISPARMI E POTERE D’ACQUISTO

Si sa che l’Italia è uno dei paesi con il risparmio privato più alto al mondo, cosa è successo dall’introduzione dell’euro ad oggi? Verifichiamo

FONTE: ISTAT- Report conti istituzionali (1995-2019)

Se nel 2002, anno in cui l’euro entra in vigore, la propensione al risparmio era il 13% del reddito disponibile, nel 2018 è stata appena dell’8,1%.

Da questa prima immagine salta subito all’occhio la voragine del 2012: risparmio al 7,1% e potere d’acquisto crollato del -5,3%.

Ma qui probabilmente è colpa è dell’asteroide dei Maya, perché come sappiamo Monti ha salvato il paese!

Battute a parte, andiamo avanti. Dal 2008 al 2013 il potere d’acquisto delle famiglie è sempre crollato.

Per chi è sopravvissuto a quel bagno di sangue, c’è stata una modesta ripresa del potere d’acquisto.

FONTE: ISTAT – Conto AP reddito risparmio e profitti

Tuttavia alla fine del 2019 non era stato recuperato nemmeno il 2011, mentre il 2007 rimane lontano anni luce.

CHI CI HA PERSO DI PIÙ

Con l’euro tutti ci hanno rimesso. Vediamo nel dettaglio del principali categorie di reddito familiare.

FONTE: ISTAT – Reddito familiare netto (2003-2017)

Fatto 100 il reddito familiare netto del 2003 (cioè quello reale) dopo 14 anni sono i lavoratori autonomi il ceto più danneggiato: nel 2017 il loro reddito è diminuito del 25% rispetto al 2003.

Inizialmente ci avevano guadagnato solo i lavoratori dipendenti, poi dopo la crisi del 2008 sono precipitati come tutte le altre tipologie di reddito. I pensionati sono quelli che hanno perso di meno (il 5%)

Vediamo ora una comparazione del reddito, i termini pro capite, con il resto dell’unione europea dal 2000 al 2018, grafico del Dipartimento programmazione economica

FONTE: DIPE

Semplicemente un disastro, anche questo caso non è stato recuperato nemmeno il valore del 2011 e siamo stati superati anche dall’europa dei 28 che comprende i (poveri) paesi dell’est.

PRODOTTO INTERNO LORDO

Attraverso i dati del Fondo Monetario Internazionale, vediamo la variazione del PIL reale dal 1980 al 2019

Elaborazione su dati FMI

Facciamo un po’ di conti. Negli anni 80 (1980-89) la crescita media annua è stata del 2,35%. Negli anni 90 (1990-99) è stata del 1,46%

Nel primo decennio del nuovo millennio (2000-09) è stata dello 0,54%. Nel secondo decennio del 2000 – appena concluso (2010-19) – la crescita è stata dello 0,25%

Con l’euro in tasca (2002-2019) la crescita media è stata appena dello 0,12%.

FONTE: ISTAT

Vediamo l’andamento del PIL in milioni di euro (prezzi costanti del 2015). Come in alcuni precedenti grafici, anche per il PIL è stato recuperato a malapena il valore del 2011.

Cosa ci riserva il futuro? Le stime del FMI per il 2020 e per il 2021 sono rispettivamente del -9,1% e del +4,8%. Per la serie “al peggio non c’è mai fine”

POVERTÀ E DISUGUAGLIANZE

Vediamo ora il numero di individui in povertà assoluta, segue grafico realizzato su dati Istat.

Dati Istat ➡️ povertà nuova serie ➡️ dati principali

Nel 2018, si stima siano oltre 1,8 milioni le famiglie in condizioni di povertà assoluta, con un’incidenza pari al 7,0%, per un numero complessivo di 5 milioni di individui (8,4% del totale).

Nel 2019 c’è un calo di 400.000 poveri assoluti, ma rimane pur sempre un valore altissimo, e comunque molto lontano da quelli antecedenti la recessione globale.

ANNOPOVERI ASSOLUTIGOVERNO
20051.911.000Berlusconi
20061.660.000Berlusconi / Prodi
20071.789.000Prodi
20082.113.000Prodi / Berlusconi
20092.318.000Berlusconi
20102.472.000Berlusconi
20112.652.000Berlusconi / Monti
20123.552.000Monti
20134.420.000Monti / Letta
20144.102.000Letta / Renzi
20154.598.000Renzi
20164.742.000Renzi / Gentiloni
20175.058.000Gentiloni
20185.040.000Gentiloni / Conte
20194.593.000Conte

Ora sorge spontanea una domanda, chi ci ha guadagnato in tutto questo? Ce lo spiega sempre l’ISTAT, a pag 4 di questo comunicato.

Al quinto più ricco della popolazione 6,1 volte il reddito del quinto più povero

Un problema che non è solo italiano, tuttavia

Più disuguaglianza dei redditi in Italia che negli altri grandi paesi europei

Per grandi paesi europei l’ISTAT si riferisce a Francia e Germania.

FONTE: Eurostat

Oggi anche chi lavora è a rischio povertà: nel 2018 i “working poor” sono il 12,2% peggio di noi solo Spagna, Lussemburgo e Romania

Andiamo avanti

COMPETITIVITÀ

Vediamo la produzione industriale con un altro grafico del DIPE. Fatto 100 l’anno 2000, nel 2018 avevamo perduto 15 punti di produzione.

FONTE: DIPE

Perché si produce di meno? Banalmente i prodotti italiani sono sempre meno richiesti, sul mercato interno per la perdita del potere d’acquisto (che abbiamo visto prima), ma anche all’estero la situazione non è rosea, adesso vediamo il motivo.

Il prossimo grafico mostra la differenza di competitività fra Spagna, Italia, Francia e Germania rispetto a 60 paesi concorrenti (grafico di Banca d’Italia) sui prodotti manifatturieri.

Un aumento dell’indice segna una perdita di competitività, viceversa una diminuzione dell’indice segna un guadagno di competitività.

In estrema sintesi le industrie manifatturiere tedesche e francesi sono riuscite a surclassare la concorrenza italiana e spagnola nel giro di 20 anni, nonostante le “riforme” che Spagna e Italia hanno attuato per ridurre il costo del lavoro…

FONTE: DIPE

Ricordiamo inoltre che – a partire dal 2012 – il ritrovato attivo della bilancia commerciale, dal momento che non si poteva attuare una svalutazione monetaria (su base nazionale), allora ci fu bisogno delle lacrime e sangue di Monti per dare una stretta alle importazioni.

DISOCCUPAZIONE

L’Italia è quasi sempre stata lontana dall’essere un modello di piena occupazione, per via delle note differenze sia geografiche (questione meridionale) che di genere (donne più svantaggiate).

Tuttavia negli anni dell’euro abbiamo visto infrangere tutti i record negativi del passato recente: ecco i dati ISTAT sulla disoccupazione generale e quella giovanile a partire dal 1977

Nel passato decennio (2010-19) la disoccupazione media è stata del 10,8% con il picco massimo 12,7% del 2014 battendo i record degli anni 90, ovvero il 10,3% di media e il picco massimo dell’11,3% registrato nel 1998).

Ma i più penalizzati di tutti sono stati i ragazzi fra i 15-24 anni, segue grafico della disoccupazione giovanile

La media del tasso di disoccupazione nello scorso decennio è stata del 34,9% con il picco, anche in questo caso, nel 2014 del 42,7%. I precedenti record negativi erano degli anni 80.

Ricordiamo che la discesa della disoccupazione cominciata da fine anni 90 che si è conclusa nel 2007 è riconducibile alle riforme per flessibilizzare e precarizzare il lavoro: le più note sono il Pacchetto Treu del 97 e la legge Biagi del 2003.

Al primo shock esterno, infatti, questi posti di lavoro son tutti andati a farsi benedire, non ci sono precedenti di una impennata della disoccupazione così marcata.

NASCITE E SALDO NATURALE

Che non fosse vero lavoro quello dei primi anni 2000 lo possiamo vedere consultando il numero delle nascite, perchè banalmente i figli si mettono al mondo quando c’è stabilità lavorativa, giusto?

Dal 1980 al 1992 i nati vivi superano il numero dei morti, dal 1993 questa tendenza si invertirà (quasi sempre) fino al 2008.

Mentre dal 2009 in poi le nascite andranno a picco, mentre i morti continueranno a salire

Con questo grafico si chiude il cerchio di un disastro che non ha precedenti in tempo di pace. Cosa ci attende in futuro?

Le proiezioni di lungo termine danno, per il 2065, un crollo della popolazione italiana dagli attuali 60 milioni a poco più di 53 (in uno scenario né ottimista né pessimista),

Temo purtroppo che è più probabile lo scenario pessimista della linea rossa, fra 45 anni gli italiani saranno meno di 47 milioni.

ITALEXIT

Come starebbe l’Italia fuori dall’euro? Ve lo faccio spiegare dal Der Spiegel un giornale tedesco che, per usare un eufemismo, è tutto fuoché pro-Italia.

In un articolo del 13 giugno 2012 scrisse:

« Con un’uscita dall’Euro e un taglio netto dei debiti la crisi interna italiana finirebbe di colpo. La nostra invece inizierebbe proprio allora.

Una gran parte del settore bancario europeo si troverebbe a collassare immediatamente. Il debito pubblico tedesco aumenterebbe massicciamente perché si dovrebbe ricapitalizzare il settore bancario e investire ancora centinaia di miliardi per le perdite dovute al sistema dei pagamenti target 2 intraeuropei.

E chi crede che non vi saranno allora dei rifiuti tra i paesi europei, non s’immagina neanche cosa possa accadere durante una crisi economica così profonda. Un’uscita dall’euro da parte dell’Italia danneggerebbe probabilmente molto più noi che non l’Italia stessa e questo indebolisce indubbiamente la posizione della Germania nelle trattative.

Non riesco ad immaginarmi che in Germania a parte alcuni professori di economia statali e in pensione qualcuno possa avere un interesse a un crollo dell’euro »

Del resto l’euro è solo un Marco camuffato, pensato per avvantaggiare gli esportatori tedeschi. Segue grafico con i saldi delle partite correnti – in rapporto al PIL – di Italia, Germania, Cina e Giappone

FONTE: Elaborazione su dati OCSE

Il mantra secondo cui “ci serve l’europa per competere con la Cina” è un qualcosa che, dati alla mano, non ha né capo né coda.

CHI CI GUADAGNA CON L’EURO?

Oltre alla Germania, anche i Paesi Bassi ci hanno guadagnato con la moneta unica. Se guardiamo sul sito del governo olandese, alla domanda sul perché i Paesi Bassi non tornano al fiorino, ecco la loro incredibile risposta

« Lasciare l’euro sembra semplice, ma comporta grandi rischi e costa molti soldi. Se i Paesi Bassi ritornano al fiorino, i prodotti olandesi diventeranno troppo costosi per altri paesi. Le esportazioni, la principale fonte di reddito nei Paesi Bassi, quindi diminuiscono e i Paesi Bassi perdono molto reddito e posti di lavoro.

L’euro ha semplificato le esportazioni in Europa. Gli imprenditori ora non devono più preoccuparsi dei tassi di cambio e non hanno costi di cambio. Questo è vantaggioso per le società olandesi e quindi per i Paesi Bassi.

Una valuta comune come l’euro impedisce anche a un altro paese dell’Unione europea di diminuire di valore (ndr – svalutare). Una valuta più economica rende le esportazioni di quel paese più convenienti. Questo è dannoso per le esportazioni olandesi.

L’economia olandese dipende fortemente dalle esportazioni. I Paesi Bassi fanno molti soldi esportando e ci sono anche molti posti di lavoro nell’export. Pensate, ad esempio, ai camionisti, alle persone che lavorano nel porto o nell’orticoltura. Se i Paesi Bassi tornano al fiorino (costoso), le esportazioni diminuiranno notevolmente. »

Serve aggiungere altro? Ah si, il titolo di questo articolo è ispirato dall’intervento di Paolo Barnard a “La Gabbia”, che già nel 2016 ci spiegava che l’eurozona è in realtà una zona di guerra.

« Pigliamo la parola eurozona, togli euro lascia zona, aggiungi di guerra, siamo in una zona di guerra, dobbiamo andarcene »