Cambiare l’europa dall’interno: storie di fallimenti annunciati

Da anni il dibattito politico è inquinato dai cosiddetti “europeisti critici“, ovvero di coloro che ammettono che l’unione europea così com’è oggi non va bene, ma che la soluzione è non quella di uscire bensì di “cambiare l’europa dall’interno“.

Dovete sapere che le posizioni “altroeuropeiste” – così le chiameremo d’ora in poi – non sono una novità dei nostri tempi, infatti possiamo trovare esempi pertinenti nel corso dei passati decenni.

BERLINGUER E IL CAMBIO DI LINEA DEI COMUNISTI

Un esempio di posizione “altroeuropeista” possiamo già trovarla a fine anni 70, quando il PCI iniziò ad abbandonare la linea dura che lo caratterizzò durante la ratifica del trattato di Roma (1957).

FONTE: La Repubblica

Il segretario dell’epoca, Enrico Berlinguer fu intervistato da Scalfari il 2 agosto 1978, quando ormai mancava meno di un anno alle prime elezioni del parlamento europeo.

L’intervista completa pubblicata su “La Repubblica”, è stata riportata anche su L’Unità, sempre nello stesso giorno. Ecco il passaggio più interessante:

FONTE: L’Unità 2 agosto 1978 – L’intervista del compagno Berlinguer (pag 11)

SCALFARI — Il 1979 sarà l’anno dell’Europa. E lei ha detto nell’ultima riunione del comitato centrale, che il PCI ha fatto una scelta europea definitiva. Lo conferma?

BERLINGUER — Lo confermo. Sappiamo che il processo di integrazione europea viene condotto almeno per ora prevalentemente da forze e da interessi ancora profondamente legati a strutture capitalistiche che noi vogliamo trasformare. Sappiamo che l’integrazione sovranazionale, condotta e guidata da quelle forze, pone vincoli al processo di trasformazione nazionale.

Questa è la ragione, tutt’altro che trascurabile per la quale, per esempio, i comunisti francesi ed anche i socialisti francesi guardano con molte riserve alla accelerazione del processo di unità monetaria, economica e politica della Comunità europea.

Ma noi riteniamo che comunque bisogna spingere verso l’Europa e la sua unità e che la sfida che questo obiettivo comporta vada accettata, portando la lotta di classe, democratica e rinnovatrice, a livello europeo e a coscienza europea.

Il voto contrario al sistema monetario europeo nel dicembre 1978 segnò probabilmente l’ultimo atto antieuropeista della sinistra italiana, ma il processo di trasformazione era già in atto.

D’ALEMA E I PERICOLI DI MAASTRICHT

Dopo la caduta del muro di Berlino e la fine dell’Unione sovietica, il PCI sposa acriticamente il neoliberismo e si trasforma nel PDS (Partito Democratico della sinistra).

Arriviamo quindi ai giorni della ratifica del trattato di Maastricht, dove l’Unione europea prese forma così come la conosciamo oggi.

D’Alema, all’epoca capogruppo alla camera, nel suo discorso pronunciato il 29 ottobre 1992 si dimostrava consapevole dei pericoli in cui si stava cacciando il nostro paese, tuttavia preferì andare avanti lo stesso:

Noi sentiamo vivissima la preoccupazione di una Europa dominata da interessi forti, scarsamente democratica, divisa tra aree ricche e trainanti e aree meno sviluppate e subalterne, ma ci persuade l’idea che una mancata ratifica del trattato di Maastricht, in realtà, non metterebbe per nulla a riparo da questi rischi e significherebbe la sanzione di una sconfitta.

Sappiamo che la battaglia per un’Europa democratica dei cittadini e dei lavoratori è una battaglia non facile, il cui esito dipenderà in gran parte dalla forza e dall’unità di una nuova sinistra europea, ma di una nuova sinistra europea che stia nel processo di unità e che guardi oltre Maastricht.

Chiamarsi fuori, confondersi con il fiorire di resistenze nazionalistiche e corporative, significa perdere senza combattere. È con questo spirito che, continuando una tradizione ed un’ispirazione che fu già del partito comunista italiano, il partito democratico della sinistra voterà per la ratifica del trattato di Maastricht. (Applausi dei deputati del gruppo del PDS).

Le preoccupazioni di Berlinguer si avverarono, ma la linea degli eredi dei comunisti – come avete visto – rimase comunque quella dell’altroeuropeismo.

IL PILOTA AUTOMATICO

La cosiddetta seconda repubblica si è caratterizzata dal dualismo fra centrodestra e centrosinistra, cominciato nel 1994 con il duello fra Berlusconi e Occhetto.

La divisione fra i due “blocchi” avveniva su temi secondari ma entrambi gli schieramenti portavano avanti politiche macroeconomiche demenziali, quelle appunto codificate da Maastricht in avanti.

Le cose sono andate così fino al 2011, ma dopo il colpo di stato finanziario avvenuto quell’anno sempre più italiani hanno iniziato ad aprire gli occhi sulla truffa ai loro danni.

Ecco allora che entrano in scena i movimenti gatekeeper, il cui compito era quello di prendere il dissenso del popolo, rielaborarlo e infine portarlo su un binario morto.

Parliamo naturalmente di Lega e Movimento 5 Stelle che, nel corso degli anni, si sono caratterizzati per posizioni “liquide” sul tema della moneta unica, ma senza mai mettere in discussione l’appartenenza all’unione europea.

Durante il primo governo Conte, i tifosi hanno provato a giustificarli con la storiella della strategia segreta, mentre la prova dei fatti ha dimostrato che anche i gialloverdi stavano proseguendo nella direzione prestabilita dal pilota automatico.

Emblematica la pagliacciata del deficit da attuare nel 2019, che passò dal già misero 2,04% promesso all’1,6% effettivo.

IL PARTITO UNICO COLPISCE ANCORA

Dopo la nascita del governo Conte bis, Salvini torna temporaneamente all’opposizione, dove però continua a mantenere posizioni altroeuropeiste già esplicitate durante il gialloverde.

Ecco un passaggio preso dalla trasmissione otto e mezzo dell’1 ottobre 2019 (minuto 24:07).

SALVINI – Io non voglio uscire dall’euro, non voglio uscire dall’europa.

GRUBER – Ecco ma siccome la Lega non è sempre stata così, perché volevate uscire dall’euro, volevate sfasciare l’europa.

SALVINI – Vorrei semplicemente cambiare le regole dell’europa che sono dannose (…)

GRUBER – E ormai lo vogliono fare tutti

SALVINI – Perfetto, ben arrivati, voglio stare in Europa ma voglio cambiare alcune regole che stanno massacrando l’economia italiana (…)

Lo vogliono tutti no? Peccato che almeno 40 anni di storia dimostrano che i tentativi di “cambiare l’europa dall’interno” sono un posizione perdente.

Con il senno di poi possiamo tranquillamente dire che gli “europeisti critici” sono peggio degli euroinomani stessi, perché questi ultimi almeno sono coerenti, mentre i primi prendono il dissenso e lo disattivano.

La Brexit invece dimostra che con la linea dura e soprattutto con la coerenza, si porta a casa il risultato. Mentre le posizioni moderate, battipugniste e liquide (come la diarrea) portano ad avere Mario Draghi premier, del resto lo volevano tutti no?

FONTE: Twitter

Oggi è il tempo di essere coraggiosi, di cacciar fuori gli attributi, anche perché stavolta il pilota automatico è impostato verso una dittatura palese e non soltanto finanziaria, com’è stato finora.

Infine “stare nel governo Draghi per vigilare” non porterà a nulla se non a riempiere le piazze di cittadini infuriati, ma forse da questo punto di vista non è affatto una cosa negativa, magari così la sveglia suonerà definitivamente per tutti.